Se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere come la data del 20 settembre, specialmente all’inizio del secolo passato, non fosse propriamente celebrata dai cattolici come una data da festeggiare, visto che ricordava la fine del potere temporale dei Papi ed un evento storico che fu vissuto come un sopruso. In effetti la recente storiografia ha messo in luce anche l’aspetto prettamente anti cattolico del Risorgimento, il ruolo della massoneria che non fu certo secondario. Il cardinale Giacomo Biffi lo aveva bene osservato: “Ma soprattutto è stato un dramma spirituale e morale che a motivare e a condurre il processo unitario fosse un'ideologia deliberatamente antiecclesiale” (Pinocchio, Peppone e l’anticristo).
Ora, noi comprendiamo che a volte l’anticlericalismo fiorisce anche in tanti cuori cattolici che vedono le ingiuste prevaricazioni di certo clero, vedono come sacerdoti del tutto indegni, grazie alla rete dei non detti e delle coperture clericali, continuano a prosperare e si spostano semplicemente di qualche chilometro per continuare ad attentare alla fede di uomini e donne di buona volontà. Eppure, i cuori cattolici sanno distinguere fra il clero e certo clero, che pure esiste.
All’inizio del secolo passato fu sindaco di Roma Ernesto Nathan (1845-1921) dal 1907 al 1913. Non fatevi sfuggire le date, egli fu eletto sindaco proprio in quel 1907 in cui si intensificava la lotta al modernismo nella Chiesa cattolica, con due documenti capitali come Lamentabili sane exitu e Pascendi Dominici gregis. Papa era Pio X, che era il cuore della battaglia anti modernista e non doveva essere proprio felice di quel sindaco messo a capo dell’amministrazione della sua Roma, un sindaco che aveva queste caratteristiche: era ebreo, già gran maestro della massoneria, anticlericale e mazziniano. Non era neanche nato in Italia, in quanto veniva da Londra.
Insomma, non sarebbe stato strano se san Pio X avesse visto nell’elezione a sindaco di Nathan un affronto alla Roma cattolica. E Nathan certamente non contribuiva a smentire questa impressione. Il 20 settembre 1910, nell’anniversario della breccia di Porta Pia, fece un discorso di fuoco tutto in chiave anticlericale:
“Mezzo secolo fa il Parlamento subalpino, nella certa visione dei destini nazionali, Roma rivendicò capitale della nuova Italia. Davanti alla volontà del popolo, all’opra dei grandi fautori, l’Apostolo, il Guerriero, il re, lo Statista, dinanzi al prode esercito, ai valorosi volontari, ai cittadini, quanti oprarono, soffrirono, morirono, per la conoscenza che talvolta illumina gli uomini e le assemblee, così allora statuì quell’illustre patriottico consesso, e così, nella maturità degli eventi fu (…) Misurate il cammino percorso in 40 anni […] le mura di Belisario trapassate da ogni lato […] Castel Sant’Angelo, la tomba del morto Imperatore Romano, ridotta poi a tombe dei viventi sudditi papali, è un museo di ricordi medioevali, per insegnamenti e raffinamenti dei cittadini; l’insigne e colossale monumento della grandezza romana, le Terme Diocleziane ridotti a fienili, magazzini e sconci abituri, ora si circonda di giardini e ritorna in vita, degna vita, grande, impareggiabile museo nazionale dell’arte antica” (in Fabio Martini, Nathan e l’invenzione di Roma).
E questa è solo una parte del discorso, in cui si ricordava anche come a Roma un tempo non bastavano mai le chiese per pregare, mentre c’era in realtà bisogno di più scuole. Capirete che Pio X non fu felice di questo discorso, infatti fece arrivare ai giornali un rescritto inviato al cardinale vicario Pietro Respighi in cui affermava:
“Un pubblico funzionario nell’esercizio del suo mandato non pago di ricordare solennemente la ricorrenza anniversaria del giorno in cui furono calpestati i sacri diritti dell’Autorità Pontificia, ha alzato la voce per lanciare contro la dottrina della Fede Cattolica, contro il Vicario di Cristo in terra e contro la Chiesa stessa lo scherno e l’oltraggio […] arrivando impunemente a denunziare al pubblico disprezzo perfino gli atti del Nostro Apostolico Ministero” (in Fabio Martini, op. cit.).
Come detto il buon Pio X aveva tutte le ragioni per essere inquieto, anche perché i modernisti gli davano molto da fare all’interno della Chiesa. Tra questi, il più rappresentativo del modernismo italiano era Ernesto Buonaiuti (1881-1946), sacerdote e professore di storia ecclesiastica, di cui ci siamo già occupati. Egli fu il collegamento tra il modernismo romano e i fermenti modernistici in altri paesi, come Svizzera, Germania, Inghilterra e soprattutto Francia, dove imperava il biblista e modernista Alfred Loisy (1857-1940), discepolo di Ernest Renan, e anche Albert Houtin (1867-1926), sacerdote e teologo che nel 1912 lascerà l’abito talare. Fu scomunicato nel 1909. In una lettera dell’undici ottobre 1910, cioè pochi giorni dopo il discorso di Nathan di cui sopra, Buonaiuti gli comunicava quanto segue:
“La lettera a Nathan è del buon Pioli: eravamo tutti d’intesa. Purtroppo la stampa italiana non sa o non vuol capire certi atteggiamenti. Comincia ad essere intollerabile il bavaglio imposto dal Vaticano alla stampa più liberale. Ci vorrebbe un organo di informazioni nostro e completo. Una Corrispondenza romana in antitesi a quella di Benigni“ (1972, in Fonti e Documenti, Centro studi per la storia del modernismo, a cura di Lorenzo Bedeschi).
Fa riferimento ad una lettera che vari sacerdoti romani avevano spedito a Ernesto Nathan in sostegno al suo discorso di Porta Pia e in funzione anti papale. Ricordo che Buonaiuti verrà poi scomunicato tre volte e che sarà comunque da considerare una delle figure più interessanti e tragiche del modernismo italiano, in quanto non volle mai abbandonare la Chiesa cattolica per entrare nelle comunità protestanti, che pure gli facevano la corte e per cui avrebbe avuto senz’altro convenienza. Il riferimento nella lettera è a Giovanni Pioli (1877-1969), sacerdote che abbandonerà la Chiesa spinto dalle sue idee moderniste per entrare in contatto con le comunità riformate e per una religiosità improntata ad un vago universalismo, di tipo nettamente progressista.
Fonte: Aurelio Porfiri in Traditio
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