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Storia di Riese e della Parrocchia

 

 

«Storia di Riese» di Fernando da Riese

Carta Venetia con riquadroCarta dell'antica Venetia, X Regio (decima regione) romana. In evidenza l'incrocio tra le vie Aurelia sud-nord (Padova-Acelum=Asolo) e Postumia. Clicca per ingrandire.La storia di Riese sembra radicarsi nell’epoca romana. Il nome RIESE (Resium, Rexium, Rescium, Retium) etimologicamente – secondo l’opinione di validi storici – risalirebbe ai Reti che, appartenenti forse alla stessa razza degli Etruschi, abitavano nella regione occidentale del bacino del Danubio. Questi Reti, essendo stati vinti assieme ai Vindelici, nel 15 a.C., dal figliastro dell’imperatore Augusto, Druso Nerone, furono da costui confinati in queste pianure, all’angolo delle due vie romane Postumia e Aurelia.

Il torrente Musone, allora gonfio di acque, era un mezzo naturale di difesa. La strada che da Asolo correva a Padova (in un documento del 1279 è ricordata la Via Grande: l’attuale strada che unisce Riese alle Cendrole) congiungeva Resium con Padova, prisca capitale dei Veneti, per relazioni politiche, militari e commerciali.

Sulla sinistra del torrente e lungo la Via Grande i Reti si trincerarono in fortilizio: castrum Retium. S’agganciano alla stessa etimologia i nomi di altre località vicine: Resana, aggettivo militare di Resium, Villarazzo (Villa Ratia).

Sembra convalidare questa tesi etimologica la scoperta, effettuata specialmente in località Cendrole, di tracce di romanità: un coperchio di urna sepolcrale, con l’incisione MAGNUS T. TRVVIL. (Tito Trivulo Magno); materiali fittili (un avanzo di anfora); monete imperiali; monete di Augusto di rame; un sepolcreto con scheletri umani ed uno scheletro di cavallo con resti di bardatura prettamente romana; ampolle di vetro; patere e aghi di bronzo.

Un frammento di lapide romana documenta la romanità della zona: trovata nel 1730 nello scavo delle fondamenta della chiesa delle Cendrole (ora posta all'interno del Santuario), presenta questa iscrizione, completata dagli studiosi:

Stele Cendrole

L(ucius) VILO(nius)
IIII VI(r praefectus jure dicundo)
T(estamento fieri jussit)

L’epigrafe ricorda l’erezione di un tempietto in onore di una divinità pagana, ordinata con atto testamentario da Lucio Vilonio, quadrunviro (magistrato eletto dall’assemblea popolare per l’approvazione delle leggi comunali e l’amministrazione della giustizia e delle finanze) e prefetto.

 

Il Castello di Riese

Il primo annuncio storico di Riese risale al 972 d.C.: l’imperatore romano Ottone I donò al vescovo di Treviso Rotzo (968-1002) alcuni castelli dell’alto trevigiano, tra i quali il Castrum Resii, cioè il Castello di Riese. Storicamente è questo l’atto testimoniante per la prima volta l’esistenza di Riese.

Una bolla pontificia di Eugenio II del 1152 e un’altra di Anastasio IV dell’anno seguente riconfermano l’esistenza del Castello di Riese e la sua entità di feudo vescovile. Anche l’antico sigillo parrocchiale parla di Plebs cum Castro de Resio: la pieve delle Cendrole e, a circa due chilometri, gli abitanti del Castello di Riese.

Il vicino paese di Vallà (Vallatum) farebbe pensare a fortilizi dipendenti dal Castello. Poggiana, nel suo antico nome di Puglana o Pugnana, significherebbe zona di combattimento.

Questo Castello, feudo vescovile, era pure chiamato decania: forse serviva di prigione per i rei del vescovado.

Fra i vassalli, che nel 1178 prestano giuramento di fedeltà al vescovo di Treviso, figura anche Acelo de Reso. I Da Resio erano la famiglia infeudata nel Castello, i decani o carcerieri residenti nel Castello, attorno al quale si vennero addossando, come a un fortilizio protettivo, umili abitazioni di vassalli, militi, servi.

Nel 1334, Riese divenne dominio della Serenissima Repubblica Veneta.

Il Castello ospitò vari proprietari: il monastero di Lovadina, i Da Resio che vi signoreggiarono sino al principio del 1500, poi altre famiglie venete.

Dopo essere stato fino al 1685 residenza dei vescovi nelle visite pastorali, il Castello fu demolito e trasformato nel secolo XVIII in un palazzo di stile classico palladiano dal proprietario architetto conte Andrea Zorzi di Padova; fu poi signorile dimora dei dogi Gradenigo e Venier, e proprietà dei signori Eger.

 

Riese cristiana

Dalle Cendrole s’irraggiò, probabilmente nel III secolo, la luce della fede cristiana nelle popolazioni che abitavano sulla sinistra del torrente Musone. Non è noto il nome del primo evangelizzatore; certo che, ammaestrato nella fede apostolica, parlò a questi vinti da Druso Nerone del Cristo e della sua Vergine Madre. Infatti l’edicola innalzata dal quadrumviro Lucio Vilonio al nume pagano cedette il posto e, forse, donò le pietre ad un edifico di culto cristiano, dedicato da epoca imprecisabile a Maria Vergine Assunta.

La località fu chiamata Le Cendrole.

Il nome significa «ceneri», da cinerulae, e derivò o dalle ceneri accumulate in successivi incendi dei boschi fra i quali s’elevava la chiesa mariana, o dalle ceneri di un antico campo trincerato romano che circondava la chiesa, o dal cimitero cristiano attorno la chiesa.

Fu «S. Maria delle Cendrole» la chiesa-madre, al cui fonte battesimale convenivano i plebei che abitavano alle Cendrole, i «castellani» e quanti abitavano sulla riva sinistra del Musone (Vallà e Poggiana).

Dalla chiesa matrice si staccarono Vallà verso il 1300 e Poggiana verso il 1462. Le pericolose alluvioni del Musone spinsero gli abitanti di Cendrole a cercare più sicurezza nel non lontano Castello di Riese. Fu così che attorno al Castello s’aggregarono le abitazioni e si polarizzò il paese. I pievani stessi trasferirono la loro sede dalle Cendrole alla chiesa di S. Silvestro che i monaci Nonantolani avevano eretto a ridosso del Castello ancor prima del secolo VIII.

Nel 1280 il fonte battesimale fu trasportato dalle Cendrole a S. Matteo. Alle Cendrole rimase per un po’ di tempo un sacerdote sostituto. Battesimi e funzioni venivano compiuti in S. Matteo, e i funerali a S. Silvestro, attorniata dal cimitero. Fu così che la veneranda chiesa matrice delle Cendrole perdette nel 1550 ogni espressione di parrocchialità e venne abbandonata all’incuria.

Nel 1328 la nuova pieve, ritenendo il titolo della chiesa matrice, è chiamata plebs S. Mariae de Resio. In un documento del 1567 s’indica la chiesa delle Cendrole come “posta in villa et invicem unita a S. Matteo”.

La fede del popolo guardò con sempre maggior venerazione alle Cendrole, antica sede del culto, alla quale crebbero devozione lo stesso luogo di solitudine boscosa e fatti prodigiosi che s’attribuivano alla Vergine.

Nel 1554 l’altare della Beata Vergine era abbastanza ornato e vi si deponevano offerte di cera e d’olio per le lampade; nel 1565 Cendrole ebbe il suo primo campanile; nel 1567 vi si celebrava la messa nel primo sabato di ogni mese; il lunedì di Pasqua del 1578 vi affluirono i fedeli circonvicini in gran concorso; agli inizi del 1600 fu ordinata una nuova nicchia «per accomodarvi l’immagine di Nostra Signora Santissima»: un simulacro in legno dorato, rappresentante la Vergine seduta con gli occhi a terra e le mani al petto. Nel 1756 il serenissimo doge di Venezia concorse alla riedificazione di una nuova chiesa con cento ducati e con roveri del bosco di S. Zenone degli Ezzelini.

Nel 1783 la devozione e le offerte degli abitanti di Riese decisero una più ampia e definitiva sistemazione, conservando della chiesa antica soltanto parte del coro: tali lavori sono ricordati in un’epigrafe sormontante l’architrave della porta maggiore delle Cendrole. Da allora s’intensificarono a questo santuario mariano i pellegrinaggi provenienti da Ramon, Poggiana, Spineda, S. Vito d’Asolo, Vallà, Godego, Montebelluna.

La mal ridotta pieve di S. Matteo fu rifabbricata ab imis nel 1764 e consacrata l’8 giugno 1777: è l’attuale chiesa arcipretale, sul cui altare maggiore sono esposte le statue dei due protettori, S. Matteo apostolo e S. Silvestro papa. La chiesa di S. Silvestro, ormai cadente, venne demolita nel 1781 e cedette il posto per l’erezione della casa canonica.

La storia ci ha tramandato il nome di oltre 30 pievani di Riese, dal prete Renieri del 1130 all’attuale monsignor Giuseppe Liessi (ndr: il libro da cui è tratto questo testo è stato pubblicato prima del 1990).

Una pietra sepolcrale (che esisteva nella chiesa di S. Silvestro, ora murata nella chiesa arcipretale) rappresenta in bassorilievo un sacerdote con paramenti liturgici del secolo XV e ricorda nell’iscrizione Don Andrea De Giroldi «uomo prudente e venerabile», morto il 3 ottobre 1412, pievano di Riese.

Nella prima metà del 1500 fu pievano di Riese il veneziano Pietro Bembo, poi cardinale di Santa Romana Chiesa. Il Bembo non risiedette a Riese ma, nominato vice-pievano Nicolò Bruno, visse tra lettere e ambasciate e circoli letterari a servizio della Serenissima; morì a Roma nel 1547, ammirato per le sue epistole e carmi latini, e per Gli Asolani.

Va ricordato, inoltre, Don Tito Fusarini che scoprì nel fanciullo Bepi Sarto – il futuro Pio X - «l’anima più nobile del paese» e gli ottenne, a mezzo del card. Jacopo Monico, un posto nel seminario di Padova.

 

 

 

Fonte: «La terra di San Pio X» di Fernando da Riese Pio X, cappuccino. Proprietà letteraria della Parrocchia S. Matteo in Riese Pio X (TV) - 1997

 

«Riese - Memorie storiche» del Prof. Carlo Agnoletti

IngressoCardinalSartoVeneziaPremessa: Il 24 novembre 1894 faceva il suo ingresso in Venezia il card. patriarca Giuseppe Sarto (1835-1914), “la maggior gloria di Riese”, divenuto poi papa col nome di Pio X tra il 1903 ed il 1914, ed infine santo della Chiesa cattolica il 29 maggio 1954.

Per celebrare la fausta ricorrenza, il celebre storico trevigiano Carlo Agnoletti (1845-1913), canonico della cattedrale, professore del seminario ed archivista vescovile della curia di Treviso, raccolse le sue ricerche storiche sul territorio riesino e scrisse un “libricciuolo” di appena 26 pagine, dedicandolo al neopatriarca proprio nella festa del patrono della sua parrocchia natale di Riese, S. Matteo apostolo.

Questa piccola storia di Riese, la prima monografia che sia stata stampata a riguardo della terra natale del papa Pio X, è influenzata dalla circostanza per la quale è stata concepita e risente dei tempi in cui fu scritta, non solo per la metodologia storico-critica seguita, per la quantità e la qualità delle notizie storiche riportate, ma anche per il linguaggio espositivo usato, sicuramente lontano grammaticalmente e sintatticamente da un moderno modo di presentare e narrare i fatti storici. (Quirino Bortolato)

 

RIESE - MEMORIE STORICHE

raccolte dal Can.° Prof. Carlo Agnoletti
e dedicate a
S. Em. Rev.ma il sig. Cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia

 

Eminentissimo Principe!

L’ affetto e l’indulgenza, di cui V. Em. mi ha sempre onorato, vogliono ch’io non sia degli ultimi a significare la mia gioia e gratitudine nell’auspicatissima occasione che V. Em. esordisce l’eccelso ministero di Patriarca della Chiesa Metropolitana di Venezia.

Prese adunque dal mio prontuario di Archivista Vescovile le memorie che ho potuto raccogliere intorno al paese dove V. Em. ebbe i natali, ne compongo un libricciuolo che faccia conoscere una terra cui ha tanto il Cielo sorriso.

Al tenuissimo tributo nutro fiducia che daranno alcun valore la carità del natio nido e la pietà verso il Santuario delle Cendrole, che in mille guise ha del continuo V. Em. manifestato.

In benigna fronte accolga V. Em. i fausti voti e i sinceri sensi di devozione di chi si professa

 

Seminario di Treviso

S. Matteo 1894

Dell’Em. Rev.ma

Buon servitore e fedele amico

Can.co Carlo Agnoletti

 

 

Fra le duecento dodici parochie della Diocesi Trivigiana si deve ora preeminenza a quella di RIESE. Dessa è patria di due Principi di Santa Romana Chiesa; i quali non appartenendo a nobili famiglie, ma figli del popolo, per i varî gradi del Sacerdozio, fedeli e strenui dispensatori della divina Parola e de’ sacri Misteri, ascesero alla Sede Patriarcale di Venezia. Gloriosi nomi, il Cardinale JACOPO MONICO e il Cardinale GIUSEPPE SARTO! il primo quasi autore all’altro dell'istituzione ricevuta, il secondo imitatore di quello nell'impresa dell’Ancora, per cui vien significata la speranza, la Speranza nostra MARIA che in Riese ha un Santuario degno di considerazione; ed è manifesto ch’entrambi gli Eminentissimi Porporati in Lei confidando, ch’è Madre di Grazia, ne hanno risentito validissimo aiuto.

 

Trovasi Riese nella provincia di Treviso, dalla qual città dista 15 miglia a ovest, nel distretto amministrativo di Castelfranco-Veneto; ha sede municipale con unite le frazioni di Poggiana, Vallà e Spinea di Bessica, e conta 2000 e più abitanti nel capo-luogo e un pari numero nell’altre tre ville. Ma ecclesiasticamente questa parochia è membro della Congregazione di Sanzenone, e un tempo fu la quarta Pieve battesimale dell’Arcipretato di Godego (che passò in Castelfranco), e ne dipendevano le cappelle di Vallà e Poggiana: si può credere che in antico spettasse all’Episcopato d’Asolo: prima del 1869 fece parte della Forania di Godego: è poi questa pieve circondata dalle altre di Asolo, Coste, Salvatronda, Castelfranco, Godego e Bessica.

La posizione di Riese è sulla sinistra del torrente Musone, a mezza strada fra le città di Asolo e Castelfranco, a circa quattro miglia dal pedemonte di gradevole panorama, e della fecondità di quegli ameni colli in viti e frutta non è non partecipe la pianura Resiana, dove l’acqua del Venale che nel Musone influisce e le brentelle, derivate dalla Piave e dalla Brenta, irrigano i campi. Qua vive gente sana, robusta, svegliata, industriosa; la quale contro infortunî meteorici non infrequenti forse per quella postura rispetto alle colline e al torrente, con operoso ingegno si guarda, non che colla fede nella Madonna, precipua tutelare del paese.

 

Consta abbastanza che i molti castelli di cui era sparsa questa regione ne’ tempi di mezzo, non erano già stati solo allora edificati per cagione di tirannelli e di rappresaglie proprie di quella ferrea età. Bensì la loro origine apparteneva, la più parte, all’epoca de’ primi Veneti e alla romana, tanto più che il Musone fu più gonfio d’acque, e gli antichi abitatori delle alture anche nel piano si facevano sedi munite, specialmente lungo le strade che per relazioni politiche, militari e commerciali li congiungevano con Padova, prisca capitale de’ Veneti, con Vicenza, Treviso e altri centri minori. Cosicché Riese posto sul torrente e dove la strada di Padova correva ad Asolo (e anche in una carta del 1279 si ricorda la Via grande nel tratto da Cendrole a Riese) esigeva per i suoi coloni alcuna fortificazione. Quindi allorché la luce del Vangelo rifulse anche a noi, in Riese fu fatto un centro di plebei cristiani, e la romana denominazione di plebes de Resio è doventata pieve battesimale nel tempo della Redenzione, mutando i fani degli dei bugiardi in sacelli e chiese della Vergine e dei Santi.

Stele delle CendroleLa stele rinvenuta nel Santuario delle Cendrole (clicca per ingrandire)

Né manco d’accennare che una lapide del tempo romano fu trovata, scavando le fondamenta della chiesa nuova di Cendrole, che dice “L. VILO NIV IIII VIR PRAEF ectus juri dicundo T estamento F ieri jussit”: sarà stata di un benemerito del fano pagano !

E quanto al nome di Riese (Resium, Rexum) non dee sembrar maraviglia che si ripeta dai Reti, colonie dei quali qua posero stanza, o immigrati, o costretti, od anche premiati, quando Druso, il figliastro d’Augusto, vinti i Vindelici e i Reti, ne fece scendere ne’ nostri campi la fiera gente, affinché dentro le gole native più non desse troppa briga all'impero; la qual etimologia pare confermata da’ vocaboli di luoghi non discosti, come Resana ch’è aggettivo militare di Riese, e Villaratia, e sono analoghe per altri barbari qua stanziati le altre etimologie di Godego, Alano, Nervesa, Bavaria, e la Farre.

 

La prima importanza di Riese fu il castello e l’Imperatore Ottone I. tre anni dopo che aggiudicato aveva al Vescovo di Treviso il territorio asolano, nell'anno stesso 972 che al Vescovo di Frisinga dava la padronanza del vicino castello di Godego, la dava al nostro su Riese; per il qual atto furono in Riese vassalli del vescovado trivigiano, e la pieve era della mensa vescovile di Treviso.

Anzi numerandosi in una carta del 1178 i fedeli del Vescovo, il feudo di Riese ha l'appellazione della decania; lo che fa pensare il castello di Riese servisse anche di prigione per i rei del vescovado, equivalendo in que’ tempi decano a carceriere.

In seguito, come quasi tutti gli altri possedimenti del Vescovo, o per cessione o per usurpazione, pur rimanendo nel Prelato l’alto dominio col giure spirituale, son diventati proprietari altri; e fra questi il Monastero di Lovadina o l’Ospitale di Piave, continuante i lavori dei Nonantolani che nei secoli X e XI erano stati profughi dal nostro territorio, e la famiglia denominata da Riese che facilmente fu dei primi castellani.

A questa conosciamo appartenuti Acilio che nel 1193 era sindaco procuratore nell’esame dei danni per la lite del castello di Zumelle o Mel, d’onde le funeste guerre fra i trevisani e il Patriarca d’Aquileja cogli aderenti delle due parti; Martinello e Giovanni, notaj nel sec. XIII. Ma specialmente figura nei fasti di quella casa Alessandro, giudice e cittadino trivigiano, il quale addì 16 marzo 1255 fu procuratore di Alberigo da Romano, il troppo famoso fratello del crudo Ezzelino, per protestare in pubblico concistoro, innanzi a Pp. Alessandro IV, che il suo signore non aveva mai fatto lega col tiranno, e se altro dicevasi era bugia: del che egli si fece fare, per sicurtà, pubblico istrumento, e nel seguente mese in Frascati pronunziò simile protesta, come appare dal codice Ecceliniano del Verci.

In processo di tempo a venete famiglie è toccata la proprietà del castello, cui incombeva la sorte della demolizione, per le mutate condizioni di politica ed economia: fu poi la mole convertita in palazzo che dopo la metà del secolo scorso, già illustrato per il soggiorno dei Vescovi quando tenevano la visita pastorale (p. es. nel 1685), fu dall’architetto e proprietario il nob. Conte Andrea Zorzi di Padova rammodernato, con aggiunta la scala interna e la barchessa. Poscia per eredità o per comprita vi ebbero padronanza e villeggiatura i Gradenigo, e al presente il Co: Venier veneziano: benché i Gradenigo prima abitavano in un altro palazzotto distante da questo mezzo miglio a nord; i Zorzi poi nel luogo detto la Costanza avevano un altro edifizio che ora i Bottio possedono. E vicino a questo (ecco come sia venuto al sito il nome di Villa Costanza !) un altro palazzo ancora sorge che un Tuzio Costanzo costruiva, e in questo secolo fu del canonico Giuseppe Lazzari pievano di S. Luca di Venezia; il quale vi ospitava gente letterata, e all’umor di Lieo mesceva il licore freschissimo del profondo pozzo che vi fu scavato, e lascia leggere scolpito nell’anello di pietra che superiormente lo cinge, questo distico all’ingiro:

Pozzo Tiuzzio Costanzi a RieseMarmoreo cinxit Tutius Costantius orbe
Hunc puteum, de quo limpida surgit aqua.
1516 adì 25 Otubrio

cioe' “Tuzio Costanzo cinse di marmorea ghiera questo pozzo d’onde acqua limpida sgorga, il 25 ottobre 1516”.

 

Or quando sorgeva il castello e il ceto dei militi vi dimorava, invece i plebei, come negli altri luoghi aventi fortezze, avevano le lor case e gli usi della vita nel luogo appellato le Cendrole, attorno alla chiesa del Battesimo, che probabilmente era stata innalzata sopra un vetusto tempio pagano, delle cui pietre antichissime sono state adoperate anche nella fabbrica moderna. Era questa chiesa dedicata col titolo, di origine apostolica, di MARIA VERGINE ASSUNTA in sito selvoso che da incendi casuali, o fatti per cagione di sboscamento, si ebbe il vocabolo di Cendrole (cinerulae): e in detta pieve convenivano quelli dei vici di Poggiana e Vallà, nonché quelli del castello e campagna di Riese. E Poggiana (puglana) lascia intravedere una voce simile a polesine, che è terra appianata e ferace; Vallà (vallatum) o è da fortilizi dipendenti dal castello, o da valli e conche dove stagnavano le acque.

Quantunque la pieve non fosse nel centro del territorio che le spettava, pur era in luogo opportuno, fatta ragione che a quel modo che sulla destra del Musone, torrente vago e periglioso, sorgeva la pieve di Bessica, così nel sito delle Cendrole s’era provveduto alla gente dimorante sulla sinistra. E se nella pieve di Bessica occorsero vicende che causarono la traslazione degli esercizi di giure pievano nella cappella o chiesa figliale di Loria, sussistendone però in Bessica il titolo e la storia, anzi fino al principio di questo secolo era unico paroco investito delle tre chiese unite di Bessica, Loria e Spinea, assistito da cappellani; così nella pieve di Cendrole per il discorrere delle acque è avvenuto che insieme all’esercizio di pievano passasse anche il diritto di pieve ad un’altra chiesa più discosta dal torrente. E’ questa la presente parochiale di S. Matteo Ap. Ev. di Riese, del medesimo territorio, vicino all’antico castello; e Riese e Cendrole furono anche nomi promiscui, appunto perché la gente che viveva presso le Cendrole si era trasportata ad abitare vicino la fortezza, senza permettere che la primitiva chiesa della Madonna o rovinasse o cadesse in obblio, ma piuttosto col volger degli anni tenendola in conto di SANTUARIO.

 

Per tutto questo in Riese e sussisté l’antica chiesa pievana, e accanto al castello, dove già sorgevano due chiesuole fra loro vicine, coi titoli di S. Silvestro Pp. Conf., e di S. Matteo Ap., questa servì (ciò che può parere strano) per la collazione del battesimo e per le funzioni dei vivi; presso l’altra, nella casa dietro la chiesa, riesedeva il pievano e nel sagrato si deponevano i cadaveri de’ defunti e facevansi gli ufficî de’ morti.

Quelle due chiese erano state fondate, com’è giusto congetturare, l’una, di S. Silvestro, da’ Nonantolani che apparirono nella nostra diocesi fin dal sec. VIII, devoti com’essi erano al Pontefice auspice della pace della Chiesa e patrono della Badia di Nonantola; quindi Monarchi e Papi la donarono ai Cisterciesi di Lovadina prima del 1157, cui succedettero le monache di S.M. degli Angeli di Murano nel sec. XV: l'altra, di S. Matteo da’ Cisterciesi stessi. Quando infatti in Salerno l'invitto Pp. Gregorio VII dedico’ la basilica di questo Evangelista, le famiglie dei monaci, ammiratori del Pontefice, all’Apostolo Matteo eressero chiese, e nella nostra diocesi, oltre Riese, contiamo quella di Camalò che fu della medesima giurisdizione dell’Ospitale di Piave, e quella di Villanova, suddita del monastero di Mogliano annesso a S. Teonisto di città.

Cosi si comprende perché nelle Bolle a. 1152 e seg. in cui il Papa riconosce al Vescovo di Treviso tutte le sue giurisdizioni temporali e spirituali, fra le pievi di Bessica e Coste, non è già scritto come per tutte le altre: pieve di Riese col castello e le pertinenze; ma “Castrum de Rexio cum plebe et suis pertinentiis - il castello di Riese colla pieve e le sue appartenenze.” Ei vuol dire che quel passaggio della gente da Cendrole al castello, e quella traslazione almeno parziale degli stessi diritti di pieve battesimale a S. Matteo era accaduta in quell’epoca, e vi si mantenne.

Infatti nel Libro del sale a. 1335 fra le pievi del Quartiere del Dom, al N. 2 descrivesi questa di Riese nel seguente modo: “regola del capo-pieve di Riese per fuochi 9 1/4 1/8, regola di Vallà per fuochi 3 1/4 1/8, regola di Poggiana per fuochi 3 1/2” dunque in linea amministrativa non era ora calcolato il nome di Cendrole, od era tutt’uno con Riese; la popolazione poi presso il castello ascendeva a circa 800 anime, se è giusto che allora il valore d’ un fuoco corrispondesse a 80 abitanti.

Ma in argomento ecclesiastico il nome di Cendrole non era perduto e tanto meno il titolo di S. Maria. E se al 1328 è scritto in un atto “S. Maria del Rexio” e nel Quaderno della colta contro i Turchi del 1330 “plebs S. Mariae de Rexio” ma al 1457: “chiesa S. Maria delle Cendrole di Riese” e al 1500 il pievano si nomina “di Cendrole et annexorum” come al 1521 “de Cendrolis sive de Resio” e al 1567 la chiesa di Cendrole è “posta in villa et invicem unita a S. Matteo”. Prova inoltre come Riese già prevalesse nel nome e nell’esercizio pievanale la pietra sepolcrale che ancora nello scorso secolo trovavasi nella chiesa di S. Silvestro nella parte opposta al recinto dove si era asservato il Sacramento, e poscia nel 1847 il pievano Fusarini collocò sul muro esterno laterale della chiesa di S. Matteo in cornu epistolae. In questa pietra è disegnato un sacerdote cogl’indumenti da Messa nel sec. XV usitati, e in giro vi si legge la seguente iscrizione: "Hic jacet corpus prudentis et venerabilis viri d.ni Andreae de Ziroldis olim plebani hujus ecclesiae, qui obiit A. D. 1412, die 3 mensis Octobris, cujus anima in pace requiescit. - Qui giace il corpo dell’uomo prudente e venerabile D. Andrea de’ Ziroldi già pievano di questa chiesa, il quale morì nell'anno del Signore 1412, addì 3 ottobre, la cui anima riposa in pace”.

 

Adunque quelli di Riese, per maggior loro commodo, erano passati al castello, avendo tre chiese e il pievano con beneficio di gius dell’Ordinario, e vi si aggiungeva un beneficio del gius di Lovadina. Inoltre, prima del 1300, quelli di Vallà si erano per qualche tempo staccati dalla pieve in modo da avere un beneficiato proprio, benché se ne dovea portar i battezzandi in S. Matteo di Riese anche nel sec. XVI, e la loro chiesa dedicata al Precursore Giovanni Battista poteva indicare, che anticamente per gl’impedimenti dell’acque si sarà anche in Vallà potuto ministrare il battesimo.

Restava che altresì quelli di Poggiana pretendessero a una specie di separazione dalla lor chiesa matrice; e il fatto avvenne così.

La lor vecchia chiesa che nel titolo di S. Lorenzo Levita accenna a diaconia, era officiata, se così si può dire, solo dal chierico di Riese, con cui il pievano divideva il beneficio rappresentato nel 1330 dalla cifra di L. 40: la frequentavano poi non solo essi, ma i limitrofi uomini di Loria, Godego e Ramon. Ma già le sfrenate acque impedendo che tutti questi andassero alle rispettive chiese pievane, appariva necessario che dalle lor case si costituisse una parochia nuova. Infatti, consenzienti i parochi e pievani de’ prefati luoghi, il 17 Giugno 1457 fu messo in Poggiana un sacerdote, e gli si formò un beneficio, ché il Vescovo Lodovico Barbo dall’amico e parente Pp. Eugenio IV aveva ottenuto facoltà di unire, disunire, sopprimere, mutare e tutt’altro fare per vantaggio di chiese, benefici e popoli nei chiericati e benefici, quantunque curati. Di questo fu avvertito il Papa; ed egli con lettera ammonì la gente entrata a far parte della nuova parochia, che si guardassero dall’aver debiti co’ paesi convicini; ciò che sarebbe stato d’ostacolo a formare la parochia.

Pertanto il 15 Gennaio 1462 il pievano delle Cendrole, dal quale prima tutti i Poggianesi e i loro consorti ricevevano i Sacramenti, assegnò al cappellano ufficiante in S. Lorenzo di Poggiana i quartesi delle terre del luogo di Poggiana, né più fu fatta menzione del chiericato di Riese che era così trasformato: più il detto pievano si tenne il diritto di presentare il curato di Poggiana che pur era de mensa Episcopi, gius esercitato anche nel 1682, poscia mancato, onde il paroco di Poggiana nel 1725 etc. veniva anche conosciuto quale cappellano perpetuo di Riese. In segno poi che Poggiana fu anticamente porzione di Riese, il suo prete serviva da Diacono al pievano nel Sabbato santo alla benedizione del Cereo e del Fonte, e gli doveva ogni anno il canone di staja 7 di frumento, 1 di fava, 1 botte di vino e 1 libra di cera lavorata. Che questo canone fu puntualmente corrisposto lo attestano, fra l’altro, la ricevuta di Giangiacomo Brusati di Cendrole di Riese, a. 1521, e le liti del 1664 e seg.; oggidì peraltro è modificato nella qualità e nella quantità.

Di questa maniera la matrice di Riese si trovò separata dalle sue chiese figliali; quantunque i massari di Vallà e Poggiana si riservarono anche nel 1520 alcun diritto sopra la chiesa delle Cendrole, riconoscendola matrice e cooperando affinché diventasse Santuario. E pur al presente i due parochi sudditi non negano un vestigio dall’antico ossequio sinodale, mentre corrispondono un tributo di cera e ricevono dal pievano di Riese i santi Olî.

 

Queste sono le testimonianze delle condizioni in cui la chiesa di Cendrole è stata da oltre quattro secoli, e delle Visite pastorali, come raccolgo dai libri e documenti dell’Archivio vescovile.

Nel 1467 si stimava la prebenda ducati 60, erano male piantate le possessioni, dalla fabbrica si ricavavano duc. 10, serviva di chiesa battesimale S. Matteo, e l’altre due di S. Silvestro e delle Cendrole erano sì chiuse, coperte ed ufficiabili, ma non curate; ottimo era lo stato della casa presbiterale contigua a S. Silvestro. Del pari nel registro Hebenus, specie di stato personale della Diocesi compilato fra il 1470-74, si annotava che essendo la chiesa di S. Maria nei boschi, in sua vece era quella di S. Matteo, e il pievano si teneva anche l’altra di S. Silvestro, corrispondendo al monastero di Lovadina un censo di pepe. Nel 1493 fu scritto di Cendrole ch’era stata pieve, ma già si celebrava in S. Matteo: pertanto nella visita del 1521, in chiesa di S. Matteo, unita alla pieve, fu cantata l’orazione di questo Santo, come di patrono, e l’altra chiesa di S. Silvestro era non curata, ma con ufficiante proprio. Nel 1550 si scriveva cessato in Cendrole ogni segno di parochialità; le chiese poi del pievanato avevano quest’ordine: S. Matteo, S. Silvestro, Cendrole (queste due campestri), Poggiana e Vallà.

 

Joan Blaeu, Dominio Veneto nell'Italia in Atlas Maior Amsterdam 1665Joan Blaeu, Dominio Veneto nell'Italia in Atlas Maior, Amsterdam, 1665L’abbandono della chiesa di Cendrole, e ciò non di rado per l’irresidenza dei pievani, o perché erano men buoni in quel sec. XVI°, e ad es. il vice pievano fu citato dal popolo innanzi alla Curia Vescovile nel 1525, e il pievano del 1574 non visitava gl’infermi di notte (già lo storico vero dee narrar di beni uniti a mali, il buon Dio poi dal male trae il bene), quell’abbandono, dico, insieme al diritto che i massari di Poggiana e Vallà si erano riservato, fu causa che nei popoli di Riese e dei vicini paesi sorgesse una maggior venerazione per l’antico luogo del culto loro, al quale lo stesso sito cresceva divozione, e dove senza dubbio fatti prodigiosi, o che paressero tali, si erano manifestati o creduti, perché di tale pietà ci fosse incremento.

Così si sa ch’essendo pievano nel 1520 il cardinale PIETRO BEMBO uomo di lettere e irresidente, il suo cappellano che qui ufficiava, aveva la licenza di celebrare in tutto il Dominio Veneto; e già istituito un legato per la messa del lunedì, in detta chiesa si eseguirono lavori edilizi; però il prete sostituto vietò che si ponesse un altare all’icone della Madonna, dove la scuola o confraternita facesse le sue pratiche religiose. Per la qual cosa fu convenuto che l’immagine stessa fosse collocata sopra l’altar maggiore “affinché non si alzassero due Madonne” lo che sarebbe tornato di pregiudizio al pievano cui l’altar maggiore spettava. E quel legato fu anche noto col nome di mansionaria Tiretta, dal nome della famiglia patronale e possidente nella località che tuttora si chiama le Tirette; con quello di S. Caterina V. M. da un altare innalzato in Cendrole per soddisfarvi al legato, almeno dal 1536; tal fiata col nome di beneficiati istituitivi, come un Giovanni Dalla Stalla nel 1578, un D. Antonio Soldati nel 1682 etc.

Continuando, nel 1554 l’altare della B. Vergine era abbastanza ornato: nel 1564 i paesani colla scuola o processione frequentavano la chiesa di Cendrole: nel 1567 essa bisognosa di tetto e d’imbiancatura, era pur tenuta abbastanza divotamente, la manteneva solo la devozione de’ fedeli, e vi si celebrava nel primo sabbato di ciascun mese: nel 1578 eravi grande il concorso nel lunedì di Pasqua: in quella vece nel 1598 n’erano mal governati gli altari: nel 1603 fu ordinato che il banco de’ miracoli, od ex-voto che si vendevano ai divoti, fosse tenuto fuori della chiesa, e si facesse “una nicchia alla Madonna per accomodarvi l’immagine di N. Donna Ss.ma” e se ne cingesse l’altare di balaustrata per non lordarlo più con l’olio, dovendosi sapere che l’olio e l’altre oblazioni si deponevano indecentemente sopra l’altare.

 

Se talora la chiesa di Cendrole fu appellata un capitello, nulla di strano, per la larga significazione di questa voce, come nel 1641 che i confratelli di S. Giovanni nella mensile processione a questo capitello non volevano portare le lor cappe. Del resto i pievani anche nel sec. XVIII favorivano poco il Santuario, e vedevano di mal occhio che la gente lasciasse S. Matteo per le Cendrole. Fra altri, quello del 1725 non attendeva a principi o prelati, e poiché sopra l’Eucaristia faceva domande dotte in quella appunto che la gente si accostava alla comunione, i popolani, per non esporsi a comparir ignoranti, tralasciavano di comunicare; e così potevasi insinuar qualche vizio, quale il lavoro di festa biasimato nel 1753; così si lasciava andar a male la stessa chiesa parochiale;[così nel 1756, per la renitenza o stranezza di quel pievano, il Dottor Festi, la gente si sfogava alle Cendrole, appellato ora anche romitorio perché vi stava alla custodia un romito.

Quivi anzi eransi moltiplicate le funzioni, e le processioni si tenevano non solo le prime domeniche de’ mesi, ma anche i sabbati di quaresima, nei quali giorni si celebrava e predicava (a. 1725); più si era ottenuto che nella festa patronale dell’Assunzione (15 Agosto) in cui dal sinodo diocesano era proibita la S. Messa negli oratorî, in questa la si celebrasse (a. 1729). Poi il Consiglio stesso de’ Dieci nel 1737 bene meritò della religione in questa chiesa, vietando a un Lorenzo Taranto di eriger betola sopra il sagrato di essa, perché non vi si commettessero disordini; e quando ardevano screzî fra pievano e popolo, nel 1756, il serenissimo Doge concorse a riedificar nuova, grande e bella chiesa di Cendrole, con ducati 100 effettivi, e con roveri del bosco di San Zenone.

Furono quindi più solenni le processioni che anche da altri paesi vi si facevano, e consta che nel 1779 nel pomeriggio di Pasqua visitavano il Santuario le ville di Ramon, Poggiana, Spinea, S.Vito d’Asolo, e Vallà, nel giorno seguente quelli di Godego, e nella prima Domenica di Maggio la grossa parochia di Montebelluna, per voto.

Poscia nel 1790 fu ordinato di ritirare dall’altare laterale di S. Giuseppe un Cristo ch’era troppo grande, e dall’altra parte corrispondeva a questo altare quello di S. Eurosia V. M. potente contro i temporali, né di S. Caterina, dopo rinnovata la chiesa, s’è fatta più menzione.

Da ultimo il bel tempio fu decorato, e ampliato con portici e stanze utili a pellegrini e divoti che nelle grandi supplicazioni concorrono, non che a sacerdoti e confessori: ne ornano le pareti del coro quadri di Gregorio Lanzarini e di Luca Giordano rappresentanti i sacrifici di Noè ed Elia: àvvi un organo eccellente, apparati di sacrestia e molti addobbi di chiesa, preziosi, da avervi invidia molte chiese parochiali. La sagra del lunedì di Pasqua è tuttavia celebre per le votive processioni, ed apresi fin dalla domenica che il popolo di Riese dopo cantati i Vespri in S. Matteo si reca processionalmente a cantarli alle Cendrole. In questa chiesa, in amena solitudine, il fedele effonde il suo cuore davanti alla Madre della divina Grazia, poi reficiato de’ sacri carismi sente ch’è stata esaudita la sua orazione, e parte contento, avendo lasciato alcun segno di pietosa gratitudine.

 Antonio Zatta: lo Stato Veneto da Terra, in Atlante Novissimo Venezia 1782Antonio Zatta: Lo Stato Veneto da Terra, in Atlante Novissimo, Venezia, 1782

Vengo ora a toccare di altri memorabili della chiesa ch’è succeduta nei diritti e nei redditi pievanali, e forse per questo vi si formava la fratellanza o fraglia cogli auspicî del Battista, se forse non vi entrò un po’ di gara con Valla’! Dessa fu riconciliata nel 1534 dopo una delle solite violazioni di quell'epoca: vi si ordinò nel 1567 la scuola del SS.mo Sacramento che poté o essere congiunta coll’altre di S. Maria e S. Giovanni, o dimessa e poscia ripresa con nuovo statuto, coll’approvazione e indulgenze ecclesiastiche: tavole e pitture vi si compivano nel 1595, per cui fu agitata una causa civile, ché in ogni età vi fu o renitenza nel pagare o soverchia pretesa nel riscuotere, poi la grassa sentenza meglio piacque del magro accordo! I massari nel 1687 (anche questa era di moda) usurpavano i beni della fabbrica, e molti gioti o ghiottoni andavano a sonare le campane di S. Silvestro nel tempo della Messa in S. Matteo, causando disturbi e inconvenienti. La pisside nel 1641 era coperta di carta, e si diede ordine di fare una seconda sagrestia dall’altra parte della chiesa, per maggior comodità della gente, e fu provveduto di nuove campane.

Per il concorso alle Cendrole nel sec. XVIII era tanto desolata questa chiesa che il visitatore la qualificava la peggiore che mai fosse, eppure aveva L. 540 di rendita! Per buona sorte si scossero, e nel 1764 fu fabbricata l’attuale con armonia architettonica, previa la debita licenza, e meritando del lavoro il ricordato Conte Zorzi: ebbe la rituale benedizione nel 1773, e la consacrazione addì 8 Giugno 1777 da M.r Vescovo Paolo Francesco Giustiniani. In questa, nell’altare maggiore sono statue marmoree dei Ss. Matteo e Silvestro, e di dietro pende un gran quadro, del Tintoretto, rappresentante lo Sposalizio della B. Vergine, che insieme ad altri dipinti di pregio, come la Guarigione del cieco nato e la Crocifissione, del giovane Palma, si poté avere dall’Accademia veneta di Belle Arti, per cura del Card.e Monico: gli altri altari si denominarono dal Rosario, da S. Antonio di Padova e dal Sacro cuor di Gesù (questo è rimpetto al battistero): l’organo è piacevole: sostenevano una volta il pulpito quattro statue: per tener più sorvegliati i fanciulli nell’insegnamento della dottrina cristiana e per miglior custodia de’ sacri arredi si aggiunsero all’edifizio della chiesa luoghi opportuni: sulla torre campanaria è un orologio che dal gnomone mostra la rivoluzione della luna per le sue fasi, e il sole ne’ successivi segni dello Zodiaco.

 

E quanto concerne la prebenda, oltre le liti sostenute per causa di confini con Vallà (a. 1500, 95) quando si decise che la strada segnasse la divisione; con Altivole (a. 1669) quando la casa Miotti doveva essere il limite; con S. Vito (a. 1685) quando la casa Gradenigo doveva appartenere a Riese, qui noterò che questo beneficio in diverse epoche rese del seguente modo. Nel 1467 di fitto staja di frumento 7, di fava 1, botti di vino 2 e dei prati duc. 11, di quartese staja di frumento 20, di miglio 2, di sorgo 6, di avena 4, di segala 7, d’altre biade 3, botti di vino 6. Nel 1608 di fermo staja di frumento 19 e il livello di Poggiana, di quartesi quanto mancava a far la cifra di duc. 300. Nel 1780 ducati 600 in tutto, fra campi, livello di biade di Poggiana, affitti, altri livelli e quartesi che rendevano staja di frumento 30, di segala 45, di sorgoturco 100, di sorgorosso 15, di miglio 2, di saracino 5, di avena 5, di legumi 4. Oh come poteva questa prebenda stuzzicar la voglia anche a ventuno concorrenti nel 1642! Che se nel 1563 i gentiluomini trevigiani si rifiutavano di pagare i quartesi, e i contadini davano tutt’al più quella misura che lor piacesse e della peggior qualità, oggidì la tristizia dei tempi e di certi ordinamenti è causa di nuovi danni: se non che la Provvidenza ha disposto che massime in questi tempi o di penuria o di gravezze molteplici abbondino la carità, lo zelo e il decoro della casa di Dio: già per istituzioni pie Riese non è seconda a verun’altra parochia.

 

Tornando alle memorie della chiesa di S. Silvestro, la fu riconciliata nel 1562: nel 1567 per prova che anticamente vi si era tenuto il SS.mo, adducevansi certe figure di Angeli dipinte sul muro al sinistro corno dell’altare, colla scritta “hic est Corpus Christi” già abrogata dal tempo, in un luogo chiuso, di mattoni e cemento; ma la chiesa era ora senza fornimenti. Nel 1603 stava sempre aperta; dopo cinque anni non vi si celebrava, ma sì al 1641 che valutavasi la sua entrata in L. 8: le annue messe 122 che vi si dovevano celebrare nel 1693, credo sia stata una confusione colla mansionaria d i Santa Caterina o di alcun legato da adempirsi in S. Matteo. Era però questo benefizio di S. Silvestro goduto d’ordinario dal pievano, o le monache patrone lo conferivano ad altro sacerdote; e lessi che nel 1744 vi era investito lo zelante paroco del mio paese di Giavera, pre Giovanni Biffis, buon latinista che, come in propria chiesa, qui poteva benedire e assistere a’ penitenti.

Anche nel 1713 la era chiesa rovinosa: e poiché in seguito si attese a ricostruire la parochiale di S. Matteo, era sembrato opportuno che quella di S. Silvestro fosse demolita. Di ciò fu ottenuto il permesso nel 1781, a patto che se n’erigesse un’altra; e a tale lavoro si attendeva nel 1790: ma nella rivoluzione di un secolo fa soppresse le monache di Lovadina, si desisté, e si servirono delle muraglie i popolani per ampliamento o appendici a S. Matteo.

Tuttavia non mancano oratorî in Riese. Di quello Grassi esiste memoria al 1621, ed ha il titolo della Maternità di M. Verg. presso il palazzo alla Costanza, e magnificamente lo decorava il fu Can.co Lazzari. Un altro oratorio, di recente costruzione, dedicato al Ss.mo Redentore, è di proprietà del sig. Antonio Monico.

 

Le anime di questa avventurata parochia furono 300 da comunione in 60 famiglie, verso il 1467: erano a confessarsi 250 sopra 60 nel 1525: se del 1598 si assegnò il numero di 1400, vuol dire che si comprendevano anche gli abitanti delle due figliali, compresi i non ammessi alla comunione: erano 700 nel 1641; 910 nel 1725; 1100 nel 1790; al presente oltre 2000. Ai quali abitatori di Riese la maggiore prosperità il Cielo conceda ognora, auspici i tutelari Maria Assunta, Matteo Evangelista e Silvestro Pontefice, dovendosi per ragione storica enunciare questi tre titoli della chiesa pievana di Riese.

E certo alla prosperità e celestiali favori di Riese prelude l’essere stata questa la culla di due Eminentissimi Cardinali, come nel principio accennava; colle date memorande dei quali piacemi anche por termine al modesto mio lavoruccio. JACOPO MONICO vi nacque nel 26 Giugno 1778, fu ordinato sacerdote nel 1801 e dopo che per diciott’anni insegnò belle Lettere nelle scuole di Umanità del patrio Seminario, già celebre oratore sacro e scrittore, fu il 28 Maggio 1818 per l’elezione dei villici di S. Vito d’Asolo istituito loro paroco, e da questo ufficio fu a un tratto nel 1823 elevato alla cattedra Vescovile di Ceneda, indi nel 1827 alla Patriarcale di Venezia; dove, aggiuntogli per Pp. Gregorio XVI l’onor della Porpora Romana, commendevolissimo per varia dottrina e sincera pietà mancò a’ vivi il 25 Aprile 1851 nel giorno titolare della sua Basilica, e vive in benedizione il suo nome.

GIUSEPPE SARTO di Gio:Batta e Margherita Sanson, nacque il martedì 2 giugno 1835; per il diritto di nomina che il compaesano Patriarca aveva ai graziati del Collegio Tornacense o Campion nel Seminario Centrale di Padova, quivi attese agli studî, finché nel 18 settembre 1858 fu per M. r Farina promosso al sacerdozio. Dopo lodevole esercizio nella cura delle anime, come cappellano in Tombolo fino al 1867 e come paroco in Salzano fino al 1875, da M.r Zinelli fu preso a Cancelliere della Curia vescovile, direttore di spirito e maestro di Religione nel Seminario, nonché aggregato al Capitolo del Duomo, dove bene meritò e nella dignità di Primicerio e nell’ufficio di Vicario Capitolare. Fu il 10 novembre 1884 preconizzato vescovo di Mantova, dove tenne il Sinodo, e celebrò solennissimi i centenarî di S. Anselmo patrono a. 1886, e di S. Luigi Gonzaga a. 1891; il 12 giugno 1893 fu insignito della Sacra Porpora e dopo tre giorni traslato alla Sede patriarcale metropolitana di Venezia; e finalmente, troncati gl’impedimenti al suo nuovo ministero, notevole coincidenza! nel 5 Settembre 1894, giorno sacro al primo Patriarca S. Lorenzo Giustiniani, entra di questi giorni nell’Arcidiocesi, che lunghi anni si glorierà della carità e fortezza del magnanimo Principe, cui viene affidata dalla sapienza di Pp. Leone XIII.

Il natale suo paese ebbe pur la bella sorte di mirarlo ammantato della Porpora, quando nel 14 Ottobre dello scorso anno egli vi entrava a visitare la veneranda genitrice, donna felicissima per aver educato un tanto figlio! a celebrare i sacri misteri fra i compaesani nella parochiale e nel Santuario, e per conferire la Cresima. La festa di que’ brevi giorni fu immensa, fu sincera; ora nel faustissimo ingresso del Sig. Cardinale Patriarca le manifestazioni del giubilo e dell’affetto non cederanno a quelle se non nell’ampiezza; ed io finisco acclamando di tutto cuore:

Viva l’E.mo Cardinale GIUSEPPE SARTO !

 

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