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No, non è Francesco...

 

 

No, non è Francesco...Il Papa che scrive: «Rinfacciare troppo severamente gli errori, biasimare con troppa foga i vizi, procura spesso più danno che utile». Il Papa che appena eletto restituisce la preziosa croce pettorale per mantenere quella che portava in precedenza e che nei primi mesi del suo pontificato inizia una profonda riforma della Curia romana. Il Papa che studia come ridurre sensibilmente il numero delle diocesi italiane, inaugura uno stile più sobrio, desidera che i preti siano pastori d'anime con uno sguardo particolare agli ultimi, apre le porte del Vaticano alla gente comune che vuole ascoltare le sue semplici catechesi. Il Papa che presenta l'eucaristia non come un premio per coloro che sono già perfetti ma un sostegno quotidiano per essere vicini a Dio. Il Papa che ridimensiona il ruolo della Segreteria di Stato, vuole tenere vescovi e preti lontani dalla politica e sostituisce un vescovo spendaccione e troppo attaccato al denaro con un francescano abituato a vivere in povertà...

No, non è Francesco. È Pio X (oggi santo), un Pontefice che al contrario dei suoi predecessori e dei suoi successori era arrivato sulla cattedra di Pietro dopo aver fatto il parroco, il primo dopo lungo tempo a non essere nato nei territori di quello che fu lo Stato Pontificio, il primo a non aver più nemmeno l'ombra di nostalgie temporaliste. Il Papa veneto, eletto nel 1903 durante il drammatico conclave che vide pronunciato per l'ultima volta il veto contro un candidato alla tiara inviso a una delle grandi nazioni cattoliche - Mariano Rampolla del Tindaro, il Segretario di Stato di Leone XIII - il quale morendo nel 1914 alla vigilia del «guerrone», il grande conflitto mondiale, lasciava una Chiesa dal volto profondamente trasformato. La complessa figura di Giuseppe Sarto è stata ed è schiacciata, dalla pubblicistica ma anche da certa storiografia, soltanto sulla discussa vicenda della lotta contro il modernismo e sui gli indubitabili eccessi che l'hanno accompagnata.

Il merito della biografia firmata da Gianpaolo Romanato («Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo», Edizioni Lindau, pp. 580, 32 euro), appena arrivata in libreria, è proprio quello di restituirci la complessità della figura di Papa Sarto, senza cadere nella leggenda nera ma anche senza indulgere alle leggende rosa dell'apologetica o di certa agiografia. Con uno stile scorrevole, per nulla pedante, che non ha il problema di imporre chiavi di lettura ma accompagna il lettore inquadrando i fatti, Romanato ci aiuta dunque a riscoprire uno dei protagonisti assoluti della vita della Chiesa degli inizi del secolo scorso.

Per l'esperienza che aveva avuto come parroco e come vescovo, osserva l'autore, «con Pio X, insomma, arrivava al potere quello che possiamo definire il "vissuto quotidiano" della Chiesa. Fu un'autentica rivoluzione, un capovolgimento di prospettiva di cui sarebbe difficile esagerare l'importanza». Papa Sarto non permetteva che gli si baciasse il piede. Appena eletto trovò sul tavolo una preziosa croce pettorale di cui si servì per qualche giorno pensando fosse quella «in dotazione» al Papa. Si trattava invece della proposta di un orefice romano, evidentemente abituato a fare buoni affari con la Santa Sede. Quando Pio X lo seppe, e fu informato del costo dell'oggetto, si affrettò a restituirlo, riprendendosi la croce che usava a Venezia.

Pio X non voleva applausi per sé quando entrava in chiesa, aveva ritmi di lavoro intensissimi: si svegliava poco dopo le quattro di mattina, si radeva da sé, pregava e meditava fino alle sei, prima di celebrare messa in presenza dei due segretari. Fin dalla sua prima enciclica, del 4 ottobre 1903, dopo aver deprecato gli errori del tempo e invitato al ritorno alla fede, all'«instaurare in Cristo tutte le cose», seppe mitigare - osserva Romanato - «l’asprezza del giudice con la mitezza e la misericordia del sacerdote»: «Invano si spera di attrarre le anime a Dio con uno zelo troppo aspro; ché anzi rinfacciare troppo severamente gli errori, biasimare con troppa foga i vizi, procura spesso più danno che utile».

Il vero Pio X, quello che ha lasciato un'impronta duratura nella storia della Chiesa, non è quello dei discorsi o delle encicliche, ma è il Pio X delle riforme ecclesiastiche. Tutte riforme impostate durante il primo anno di pontificato. Da quella della musica sacra che fece uscire dalle chiese le arie da operetta alla riduzione delle feste di precetto infrasettimanali per dare centralità alla domenica e orientare la religiosità verso l'essenziale. La riforma del breviario, il richiamo, dato con il suo esempio, all'austerità e alla sobrietà di un Papa vissuto e morto povero. L'abolizione immediata del diritto di veto per le grandi nazioni cattoliche che aveva gettato un'ombra sul conclave. La riforma della curia romana che in soli cinque anni cambia volto, mettendo fine a doppioni e sprechi, e alla confusione tra piano amministrativo e giudiziario. L'opera enorme del Codice di diritto canonico, da lui iniziata, voluta, sostenuta e seguita passo passo, che vedrà la luce nel 1917. Le visite apostoliche a tutte le diocesi italiane - diverse delle quali versavano in condizioni precarie sotto vari punti di vista - che il Papa avrebbe voluto tagliare di ben 100 unità (l'unica riforma che non gli riuscì a motivo dei campanilismi e del malcontento popolare).

Per Pio X il prete deve dare l'esempio, deve essere dedito alla pratica del confessionale, ma abituato anche alla propria personale e frequente confessione, perché «non si può tacere ed è sommamente deplorevole, il caso non raro che chi trattiene con la propria sfolgorante eloquenza gli altri dal peccare, non teme per sé e faccia il callo alle colpe». Deve essere caritatevole con tutti, dal momento che «una gran folla di malati, di ciechi, di zoppi, di paralitici aspetta i soccorsi della vostra carità»; instancabile nel fare del bene «alleviando, difendendo, medicando, pacificando». Con un criterio guida del pastore che - si direbbe oggi - ha «l'odore delle pecore», quello del bene delle anime: «Non possiamo nascondere ma dichiariamo anzi apertamente che le preferenze Nostre sono e saranno sempre per quelli che, pur coltivando l’ecclesiastica e letteraria erudizione, si dedicano più da vicino al bene delle anime con l’esercizio di quei ministeri che sono propri di un sacerdote zelante dell’onore divino».

Papa che si scaglia con veemenza e con metodi polizieschi contro il modernismo (Romanato riconosce che tutto veniva da lui, confutando certa apologetica che attribuiva invece gli eccessi ai collaboratori, circostanza peraltro smentita dai documenti d'archivio), ma anche Papa che per il suo profilo eminentemente religioso finisce per prendere decisioni aperte al futuro. Come quella di non voler approvare in alcun modo la nascita di un partito cattolico. Scriveva Papa Sarto al vescovo di Mantova nel gennaio 1908: «Io non ci tengo affatto a candidature schiettamente cattoliche, di difficile riuscita e anche di poco vantaggio alla Camera. È vero che questo mio esclusivismo non va a sangue degli aspiranti alla medaglietta, che vorrebbero nel Parlamento un centro cattolico...». La politica della Chiesa, amava ripetere, è quella di non fare politica

Pio X concede l'eucaristia ai bambini, permette che ci si accosti alla comunione con più frequenza. Fino ad allora era concepita come premio finale di un'ormai raggiunta vicinanza a Dio e non la via per raggiungerla. Ancora, il Papa è preoccupato di evitare la mondanizzazione del clero, e così facendo «finisce per distinguerne nettamente - scrive Romanato - le competenze rispetto a quelle del laicato e configura, tutto sommato, una Chiesa meno clericale di quanto non si pensi comunemente. Consideriamo infatti la sua ferma opposizione, segnalata già a Venezia, alla gestione diretta di iniziative economiche o finanziarie da parte dei sacerdoti».

Memore della sua esperienza pastorale in parrocchia, «inaugurava - scrive ancora l'autore - uno stile assolutamente inedito, un modo del tutto nuovo di fare il papa. Forniva al clero romano un modello di cui sarebbe rimasto un ricordo incancellabile, tanto più che la domenica pomeriggio prese a ricevere in Vaticano il popolo di Roma spiegando il Vangelo, proprio come un buon parroco». Piccole catechesi, semplici omelie.

Certo, tutto questo non cancella le asprezze, le chiusure, in particolare quelle degli ultimi anni, né tantomeno fa dimenticare i già citati eccessi nella lotta contro il modernismo. Ma ci aiuta a comprendere meglio i tanti aspetti innovativi per la vita della Chiesa che comportò l'arrivo nella Curia romana di questo vescovo parroco di origini umili che terminava il suo semplice testamento chiedendo preghiere per «la povera anima mia».

 

 

 


Fonte: Andrea Tornielli su La Stampa

 

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