Il pontificato di San Pio X, dal 1903 al 1914, si radica nella consapevolezza che la crisi del suo tempo non è anzitutto politica o sociale, ma primariamente intellettuale e spirituale. Di fronte all’avanzata del modernismo, che dissolvendo l’oggettività del vero riduce la religione a sentimento mutevole e la legge morale a convenzione storica, egli risponde con la riaffermazione del principio che sostiene ogni ordine giuridico autentico: la realtà è intelligibile, la verità è conoscibile, la legge non nasce dall’arbitrio bensì dalla natura stessa delle cose.
La celebre parola d’ordine del suo programma, “Instaurare omnia in Christo” (cfr. la Lettera Enciclica “E Supremi apostolatus” del 1903), si traduce così in una dottrina del diritto naturale di matrice aristotelico-tomista, in cui la legge eterna di Dio risplende nella ragione dell’uomo e orienta la vita personale e comunitaria verso il bene comune. Tale prospettiva percorre unitariamente i diversi ambiti del suo magistero.
La condanna del modernismo, espressa con forza nell’Enciclica “Pascendi Dominici gregis” del 1907 e nel Decreto “Lamentabili”, non è soltanto difesa della fede rivelata, ma al tempo stesso tutela delle condizioni stesse del diritto naturale. Se, infatti, il conoscere è ridotto a pura esperienza soggettiva, la verità diventa inafferrabile e, con essa, viene meno ogni fondamento stabile per la legge morale e civile. La battaglia antimodernista è, dunque, anche battaglia a favore della ragione naturale, del suo potere di cogliere nell’essere principi universali e normativi, di riconoscere in essi il criterio della giustizia. Senza verità non c’è diritto, senza ordine dell’essere non c’è ordine della legge. Lo stesso spirito si riflette nella cura catechistica e pastorale che caratterizza il pontificato.
Con il Catechismo per la Diocesi di Roma e che poi sarà adottato dalla Chiesa universale, il Pontefice intende formare le coscienze non a un moralismo esteriore, quanto a un sapere elementare e universale che radica i precetti nella struttura stessa dell’uomo e della società. Il decalogo, i doveri verso Dio e verso il prossimo, il ruolo della coscienza, vengono proposti come partecipazione di ciascuno all’ordine naturale creato, reso luminoso dalla rivelazione. La coscienza non è presentata come invenzione individuale, bensì come giudizio razionale che applica principi universali a situazioni particolari.
Così Papa Sarto educa il popolo cristiano alla consapevolezza che la libertà non è arbitrio, bensì adesione alla verità e che la legge morale non è imposizione estrinseca, ma voce della ragione stessa illuminata da Dio. Anche le grandi direttive sociali e politiche di Pio X si muovono nello stesso orizzonte. L’autorità dello Stato, il ruolo della famiglia, la funzione delle associazioni, sono valutati non in base a ideologie del momento, quanto in riferimento alla natura stessa dell’uomo come animale sociale e razionale.
Il Papa insiste sul primato della famiglia come cellula originaria, sull’armonia necessaria tra potere politico e missione della Chiesa. In ciò si manifesta il cuore del tomismo politico: l’autorità è richiesta dalla natura, è radicata in Dio come autore della creazione ed è ordinata al bene comune, non al dominio arbitrario. Contro le pretese del laicismo statalista, Pio X difende il principio che la società civile non può costruirsi come se Dio non esistesse, poiché la legge naturale e l’ordine morale precedono ogni legislazione positiva e ne costituiscono il criterio di validità.
Questa medesima “ratio” anima le riforme liturgiche e sacramentali, come il decreto “Quam singulari” del 1910 sull’ammissione precoce dei fanciulli alla comunione. Non si tratta di decisioni puramente disciplinari, ma del riconoscimento che il diritto del fedele ai mezzi della grazia è radicato nella sua stessa condizione di battezzato. Qui il diritto canonico si rivela nella sua natura profonda: non costruzione artificiale, bensì ordine che, pur soprannaturale nei suoi fini, trova nella ragione naturale la misura di proporzione tra mezzi e fini.
È la stessa concezione che ispira l’avvio della grande codificazione canonica con il Motu proprio “Arduum sane munus” del 1904: rendere trasparente e organico l’ordinamento giuridico della Chiesa non per sostituire la vita con la norma, ma per garantire che la norma custodisca la vita nella sua oggettiva razionalità.
Tutto si tiene, in un’armonia teoretica e pastorale che costituisce la forza del magistero di Pio X. L’unità tra verità e legge, tra natura e grazia, tra ragione e fede, si traduce nella convinzione che il diritto naturale non è un relitto del passato: è, viceversa, la condizione permanente affinché la vita personale e sociale non cada nella dispersione. La modernità, quando nega la possibilità stessa della verità, mina anche le basi della giustizia; la Chiesa, opponendosi a tale negazione, difende l’uomo, la sua libertà, il suo destino.
In questa prospettiva il programma di “Instaurare omnia in Christo” significa riportare ogni ordine umano alla sua misura originaria, che è l’essere, e al suo fine ultimo, che è Dio. San Pio X, con la forza della tradizione aristotelico-tomista, ha ricordato al mondo che la legge naturale non è invenzione della Chiesa. Essa è patrimonio universale, criterio oggettivo di giustizia, luce della ragione che rende possibile la civiltà.
Fonte: Daniele Trabucco (Professore stabile di Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario “san Domenico” di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Universitá degli Studi di Padova)
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