La risurrezione di Cristo rappresenta il fondamento oggettivo e trascendente della fede cristiana, il sigillo definitivo con cui Dio conferma l’identità divina del suo Figlio unigenito e la verità della sua missione redentrice.
Essa non si configura come una mera categoria simbolica o un’interpretazione esistenziale della speranza umana, bensì come un fatto storico-teologico in cui si realizza il compimento escatologico delle promesse veterotestamentarie e la piena manifestazione della potenza divina nella carne glorificata del Risorto.
L’annuncio pasquale non è, in primo luogo, una proiezione soggettiva della coscienza ecclesiale primitiva, ma il riconoscimento di un evento reale, accaduto nello spazio e nel tempo, eppure irriducibile alle sole coordinate empiriche: un evento metastorico che trasfigura la storia dall’interno, senza negarla.
Contro ogni tentativo di ridurre la risurrezione a mito, a simbolo o a esperienza interiore di fede, si eleva con fermezza la voce del Magistero autentico della Chiesa, specialmente in san Pio X e in Pio XII. San Pio X, pontefice dal 1903 al 1914, nella “Pascendi Dominici Gregis” del 1907, smaschera con lucidità le premesse filosofiche del modernismo, che, rigettando la distinzione tra ordine naturale e soprannaturale, dissolvono l’oggettività della Rivelazione in una pura esperienza religiosa soggettiva.
In tale prospettiva, la risurrezione non sarebbe più l’irruzione sovrana del Dio vivente nella storia, ma un archetipo mitico reinterpretato in chiave psicologica, funzionale a giustificare la fede della comunità cristiana nascente. Si tratta di un’impostazione che, oltre a contraddire l’evidenza neotestamentaria, svuota il mistero pasquale della sua portata salvifica e ontologica.
L’enciclica, pubblicata nel 1950, “Humani Generis” di Pio XII, Vicario di Cristo in terra dal 1939 al 1958, riprende e approfondisce tale critica, mettendo in guardia contro i tentativi di reinterpretare i dogmi cristiani in chiave esistenzialista o storicista, secondo cui la verità rivelata non sarebbe altro che l’espressione contingente di un’esperienza religiosa che evolve nel tempo. In tale schema, la risurrezione viene depotenziata, ridotta a una categoria della coscienza, e viene meno la sua funzione veritativa e fondativa. Pio XII denuncia le derive che, nel nome di una malintesa fedeltà al linguaggio moderno, tradiscono l’integrità del deposito fidei, manipolando i dati della Scrittura e della Tradizione per adattarli a paradigmi filosofici incompatibili con l’ontologia classica.
Il pensiero moderno, influenzato da Kant, Hegel e successivamente da Heidegger e Bultmann, ha spesso posto l’accento sulla necessità di “”demitologizzare” il Vangelo, ritenendo che il linguaggio della fede sia intrinsecamente simbolico e che la risurrezione non debba essere intesa come un evento reale ma come un’esperienza esistenziale dell’uomo di fede. Tuttavia, tale approccio, apparentemente sofisticato, si rivela in realtà aporetico, poiché distrugge il nesso inscindibile tra evento e significato, tra realtà storica e verità salvifica.
Se Cristo non è veramente risorto dai morti, come afferma san Paolo, vana è la nostra fede (cf. 1 Cor 15,14). La risurrezione non può essere ridotta a mito senza che venga meno l’intero edificio della fede cristiana, che non poggia su un’idea, ma su un fatto, attestato dai testimoni, confermato dalla Tradizione e custodito dal Magistero.
La risurrezione di Cristo, infatti, non è il prodotto della fede degli Apostoli, ma la causa originaria di essa. È l’iniziativa gratuita di Dio che, rompendo i vincoli della morte, inaugura una nuova creazione. Essa coinvolge non solo l’anima, ma anche il corpo, anticipando in Cristo il destino glorioso dei redenti. Negare la corporeità della risurrezione, o relegarla a un linguaggio figurativo, equivale a negare la centralità del mistero dell’Incarnazione, secondo cui la carne stessa è assunta, redenta e glorificata.
La teologia neomodernista (ad esempio Haight, Küng etc.), anche nelle sue forme più sottili e accademiche, tradisce una gnosi latente, che non tollera il realismo della fede cattolica, fondata sulla verità oggettiva dell’essere e sull’azione efficace di Dio nella storia. In tale contesto, diventa urgente il recupero della metafisica dell’essere e della teologia tomista, che restituiscono alla risurrezione la sua duplice valenza storica e trascendente.
San Tommaso d’Aquino, nel “Commento al Credo” e nella “Summa Theologiae”, afferma con chiarezza che la risurrezione è un evento reale, che riguarda il corpo stesso di Cristo, reso incorruttibile e glorioso per virtù divina. Tale evento è al tempo stesso storico e soprannaturale, e deve essere accolto nella fede non come mito, ma come fatto fondante, che illumina l’intera economia della salvezza.
In conclusione, solo mantenendo saldo il legame tra la verità storica della risurrezione e la sua dimensione teologica si salvaguarda l’integrità del mistero cristiano. Ogni tentativo di svincolare la fede dalla realtà oggettiva dell’evento pasquale conduce inevitabilmente al relativismo, allo svuotamento del dogma e, infine, alla dissoluzione del cristianesimo stesso nella nebulosa delle religioni. Contro tali derive, la Chiesa è chiamata a custodire con fermezza e umiltà la verità rivelata, nella fedeltà al Cristo risorto, vivente e glorioso, Signore della storia e primizia della nuova creazione.
Fonte: Daniele Trabucco in Informazione Cattolica
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