Un pontificato concluso più di cento anni fa con l’inizio della guerra. Un Papa spesso travisato, del quale sono stati dimenticati tratti essenziali. Molte riforme, la repressione del modernismo, una catechesi popolare
Cento anni fa, nell’afoso agosto del 1914, mentre gli eserciti europei corrono alla mobilitazione e si prepara l’«inutile strage», che devasterà il Vecchio Continente per cinque lunghi anni, muore papa Giuseppe Sarto. Ha vissuto per settantanove anni da santo – cosa che poi la Chiesa riconoscerà e proclamerà – di cui undici da pontefice con il nome di Pio X. Era nato il 2 giugno 1835 a Riese, in provincia di Treviso.
Sarto non è né un teologo, né un diplomatico, né un nobile, e nemmeno un suddito pontificio, come gli ultimi papi: di umili origini, viene invece, come si dice, dalla “gavetta”, dal ministero pastorale di base. Prete nel 1858, è curato, poi parroco, nelle campagne trevigiane. Quindi, è canonico a Treviso, per venir nominato vescovo a Mantova e, infine, arcivescovo e patriarca di Venezia.
Nel 1903 è eletto papa, in alternativa al cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, già segretario di Stato di Leone XIII, colpito dal veto formulato nei suoi confronti dall’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe.
Santità e anti-modernismo
Sulla storia del suo pontificato hanno influito negativamente due cose: la santità e il suo anti-modernismo.
L’agiografia post-canonizzazione, dal 1954 fino al Concilio Vaticano II, ha evidenziato gli aspetti più in linea con il cliché del santo secondo il gusto dell’epoca e lasciato in ombra le asperità, le difficoltà, i conflitti che il temperamento personale e l’esercizio del ministero, anche di quello petrino, portano inevitabilmente con sé.
Il modernismo, a sua volta, è stato invece la causa dell’ostracismo da lui subito, allorché la storiografia progressista, divenuta egemone dopo il Concilio, ha fatto di lui e dei suoi collaboratori il bersaglio preferito dei suoi strali e ha appiattito il suo pontificato sugli eccessi, presunti o reali, della repressione del modernismo, per diametrum “santificato” a priori. In realtà, non è così.
La storiografia più recente e meno ideologizzata, grazie ai nuovi documenti affiorati dagli archivi, uscendo sia dall’agiografia, sia dalla damnatio, ha a poco a poco demolito l’immagine stereotipa di un papa reazionario, per costruire un profilo di Pio X più equilibrato e fedele alla realtà.
Pio X è stato senz’altro un papa rigorosamente anti-liberale e intransigente, da Sillabo, ma mai legittimista, né temporalista, rivelandosi anzi non poco pragmatico nei rapporti con il mondo profano.
Portare ogni cosa a Cristo
Egli non vuole solo reagire, né odia il nuovo: coltiverà invece un ampio disegno di riforma della Chiesa ancora in buona misura da svelare in tutta la portata e, specialmente, nei suoi effetti sui pontificati successivi.
Un disegno che, per essere compreso, va letto secondo le categorie teologiche del suo tempo e non del nostro. E la chiave di lettura più idonea è – ad avviso di più di uno storico – la sua divisa pontificale “instaurare omnia in Christo”, cioè ricondurre al Vangelo, simultaneamente, la Chiesa in temporalibus e la città profana. Questo compito poteva essere assolto solo attraverso un lavoro in profondità sulla Chiesa del suo tempo, i cui problemi Sarto ha avuto modo di conoscere bene dall’interno, nei diversi ruoli ricoperti.
Gli è altresì noto il fatto che la Chiesa da almeno cento anni è aggredita e assediata dalle ideologie militanti del secolarismo profano, penetrate in taluni momenti anche nell’ovile di Cristo. Era inoltre palese che ciò era d’impedimento all’evangelizzazione e vanificava la dottrina della regalità sociale di Cristo che allora stava maturando, ostacolando il diritto-dovere della Chiesa di illuminare tanto i singoli, quanto i reggitori dei popoli.
Il confronto con la modernità
Pio IX ha reagito con le censure e con il Sillabo e Leone XIII con una sferzante e positiva restaurazione dottrinale, accompagnata da una relativa apertura alla modernità e agli Stati. Papa Sarto non rinnega l’operato dei suoi predecessori, ma ne conserva e difende ferreamente l’impianto dottrinale e le direttive, ritenendo però d’intervenire in maniera alquanto diversa da Leone XIII.
Egli sa che il suo progetto si fonda sulla tonificazione, allo stesso tempo, dei pastori e del popolo. E anche che, per avere un popolo onesto, occorre un clero santo e, per avere un clero santo, occorre che un popolo sano lo esprima e la Chiesa lo formi e lo curi adeguatamente. La Barca di Pietro alle soglie del nuovo secolo soffre da troppi decenni di sclerosi e gli sconvolgimenti causati delle incessanti guerre e rivoluzioni del secolo precedente hanno affievolito la fede e depauperato la vita cristiana dei popoli. In più il Concilio Vaticano I, convocato dal beato Pio IX nel 1869-1870 per porvi rimedio, è stato interrotto dall’invasione militare dell’esercito italiano nel 1870 attraverso Porta Pia e non ha potuto condurre a termine i suoi lavori.
Riforma e repressione
Per questo papa Sarto deciderà di concentrarsi prevalentemente sull’organismo ecclesiale, anteponendo l’azione al magistero, e occupandosi relativamente poco della politica internazionale e della Questione Romana, anche se l’acre laicismo della Repubblica Francese lo obbligherà a un duro braccio di ferro fra il 1905 e il 1906.
Egli agirà per prima cosa sugli organi centrali della Chiesa, partendo dalla Curia, dalla Segreteria, dai dicasteri e dalle congregazioni, cercando di realizzare quanto disposto dal Concilio Vaticano I: egli accentrerà sempre più il governo della Chiesa su Roma e modificherà il Conclave stesso, istituendo il segreto e abolendo il diritto di veto.
Quindi – ma le due cose s’intrecceranno – si preoccuperà del clero e dei fedeli.
La prima di queste due linee convergenti, intese a creare un “circolo virtuoso” fra pastori e popolo, si tradurrà nella riforma della Curia romana, nella redazione del Codice di Diritto Canonico – che sarà promulgato da Benedetto XV nel 1917 –, nella modifica del messale e dei libri liturgici.
Sull’altro versante, riformerà i seminari e la vita del clero, rilanciando altresì, sulla scia di Leone XIII, il tomismo nelle scuole. Quanto al popolo, consapevole che il duro “mondo” di allora contaminava i fanciulli fin dall’età più tenera, si premurerà di abbassare l’età per la prima comunione e, specialmente – forse la riforma più celebre del suo pontificato –, di migliorare le forme di trasmissione della fede, rilanciando la “dottrina” domenicale e promulgando due catechismi, uno per i fanciulli, l’altro per gli adulti, che avranno grande fortuna e lunga vita; infine, ridefinirà in Italia la forma organizzativa del movimento cattolico.
Contro il modernismo
Sebbene più indirizzato agli intellettuali, il modernismo costituiva senza dubbio un serio pericolo per questa azione di riforma perché, invece che irrobustire la fede del popolo cattolico, portava, come il classico Cavallo di Troia, le armi del nemico all’interno delle mura. E il progetto di Pio X di irrobustire la Chiesa contro le insidie del secolarismo, anzi di riportare il Cuore di Cristo al centro della città terrena, non poteva tollerare commistioni, compromessi, cedimenti allo spirito del mondo.
La caparbia decisione – e talvolta la durezza – con cui papa Sarto interviene contro chi contaminava le discipline ecclesiastiche con tesi ispirate alle filosofie immanentistiche e storicistiche del tempo va letta in questa luce. La messa all’Indice di libri, le censure personali, le scomuniche – che peraltro, come nel caso di Ernesto Buonaiuti (1881-1946), continueranno lungo tutto il pontificato di Benedetto XV e oltre –, lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, lo stesso allestimento di un servizio informativo ufficioso – il Sodalitium Pianum, diretto da monsignor Umberto Benigni (1862-1934) –, le inchieste e gli organi di vigilanza istituiti presso gli episcopati, si spiegano con questa prospettiva piuttosto che come frutto automatico dell’intransigentismo di cui papa Sarto è esponente di punta.
Cent’anni dopo
In conclusione, in questo centenario della scomparsa e nel sessantesimo della canonizzazione di Pio X, s’impone una visione più equilibrata e contestualizzata del suo pontificato, che non si pieghi all’ideologizzazione bipartisan, che, da un lato, enfatizza immotivatamente la sua intransigenza e, dall’altro, la censura come non cristiana.
Certo, oggi la Chiesa parla un linguaggio parecchio distante da quello di papa Sarto e cinquant’anni fa, nel Concilio Ecumenico Vaticano II, ha operato su di sé riforme diverse da quelle di Pio X, anche se non sempre in contrasto con la linea di queste ultime.
Ma, passato il periodo post-conciliare con la sua influenza negativa sulla storiografia su Pio X, la coerenza dei pontificati successivi con quello di Pio X è riemersa e anche il suo pontificato può essere letto nell’ottica della continuità e non della rottura.
La Chiesa non ha mutato neppure uno iota della dottrina della cui integrità papa Sarto si è eretto a strenuo difensore. Né – a dispetto di tanti sforzi contrari – ha ceduto a compromessi come quelli preconizzati dai modernisti, teologici e sociali. E nemmeno ha rinunciato a essere “mater et magistra” dell’umanità. Senza, infine, smettere un solo attimo di evangelizzare i popoli, specialmente fuori d’Europa. Ha solo aggiornato la sua pastorale, passando da una visione antagonistica a una visione di reciproco ascolto con il mondo contemporaneo, perché si è resa conto che il secolarismo non è solo un feroce solvente per la fede, ma anche un pericoloso morbo che affligge ogni uomo e che solo la fede può lenire. Per questo la Chiesa ha privilegiato il camice del medico alla toga del giudice, nello spirito del Samaritano con cui – come ha ricordato Paolo VI – ha celebrato il suo secondo concilio vaticano, a compimento e coronamento del primo, interrotto quasi cent’anni prima.
Che cosa resta allora di Pio X?
Per prima cosa un grande santo, da venerare non solo come uomo dalla vita cristiana integra ed eroica, ma anche, come terrà a sottolineare Pio XII nel beatificarlo, come santo pontefice. Poi rimane in lui l’esempio di un modo di affrontare le ideologie moderne efficace e privo di complessi, di un intenso sforzo di purificare la dottrina da ogni contaminazione indebita, di un ardente zelo per la regalità sociale di Cristo – nozione certo poco di moda, ma mai rimossa dal depositum –, di un riformismo intrepido – che gli costerà parecchie inimicizie nelle gerarchie – e di un amore vivo di pastore di razza, che non teme di prendere l’odore del gregge, verso il clero e il popolo fedele.
Pio X non vuole riportare indietro l’orologio della storia, né al Papa-Re, né a prima della Rivoluzione, ma solo impedire che corra “fuori strada”, segnando ore sbagliate e quindi pericolose per la Barca di Pietro e per l’umanità.
Fonte: Oscar Sanguinetti in Il Timone