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Pio X, un trevigiano sul soglio di Pietro, tra storia e storie (5 di 6)

 

 

415861779 99e95b371bTra Treviso e Venezia

La vita del Sarto cambiò a 40 anni: il 28 novembre 1875 mons. Sarto, nominato canonico effettivo della Cattedrale di Treviso, prese possesso del suo ufficio ed iniziò il suo ministero trevigiano anche come direttore spirituale del seminario, cancelliere della curia vescovile ed esaminatore prosinodale.

Svolse la sua attività fra cattedrale, la curia ed il seminario, ma non mancò di impegnarsi anche sul fronte del Movimento Cattolico trevigiano, che stava muovendo i primi passi e che dal 1892 in poi avrebbe dato grande impulso alle Casse Rurali cattoliche, e in campo giornalistico con i periodici L’Eco del Sile (1878-82) e Il Sile (1883-1885), sfociati poi dopo qualche tempo ne La Vita del Popolo, fondato nel 1892.

Le intuizioni di Tombolo e di Salzano furono portate a livelli pastorali sempre più elevati ed impegnativi, richiamando l’attenzione degli ambiti superiori romani.

Durante i quasi nove anni di servizio alla Chiesa di Treviso servì tre vescovi: Federico Maria Zinelli (1805-1879) fra il 1875 ed il 1879, Giuseppe Callegari (1841-1906) dal 1880 al 1883, e Giuseppe Apollonio (1829-1903) fra il 1883 ed il 1884.

Il 16 settembre 1884 gli giunse la notizia di essere stato nominato vescovo di Mantova, e il successivo 16 novembre 1884 fu consacrato vescovo a Roma, nella chiesa di S. Apollinare, dal cardinale mantovano Lucido Maria Parocchi (1833-1901), vicario di Leone XIII per la città di Roma.

Mons. Giuseppe Sarto fu vescovo di Mantova dal 1884 al 1893.

Cinque mesi più tardi, il 18 aprile 1885, fece il suo ingresso nella diocesi di Mantova: una diocesi “difficile”, che Gianpaolo Romanato ha definito “una diocesi alla deriva”.

Alla guida di questa diocesi avevano già fallito due vescovi intransigenti: mons. Pietro Rota (1805-1890) fra il 1871 ed il 1879, e mons. Giovanni Maria Berengo (1820-1896) fra il 1879 ed il 1884. Il primo rinunciò all’episcopato mantovano ed il secondo fu “promosso” alla sede di Udine.

L’ambiente cittadino era caratterizzato da diffusa miscredenza, settarismo, anticlericalismo “rabbioso” fomentati dalla attiva presenza della massoneria.

Inoltre, gli ambienti colti erano pervasi da idee ispirate a scientismo, razionalismo e positivismo.

Il capofila del positivismo italiano, Roberto Ardigò (1828-1920), professore del seminario mantovano e canonico, aveva gettato la tonaca alle ortiche nel 1871. È il caso più celebre ed emblematico, ma già nell’anno precedente 10 sacerdoti avevano smesso l’abito clericale.

Fin da subito si impegnò per “ricostruire” il seminario, rimasto chiuso qualche anno fra il 1870 ed il 1880, ma già nel 1886 la cura Sarto registrava i primi frutti.

Altro obiettivo focalizzato immediatamente era la “ricostruzione” delle comunità parrocchiali locali dal punto di vista ecclesiale secondo linee pastorali già realizzate e ampiamente collaudate nel Veneto, incentrate su un’attiva vita sacramentale e sull’insegnamento della dottrina cristiana.

Questa ricostruzione dal punto di vista religioso doveva avere dei riflessi anche in una contemporanea ricostruzione dal punto di vista civile della società mantovana, travagliata dal movimento di ispirazione anarchico-socialista “La boje”, nel tentativo di rifondare una Societas Christiana attraverso la rivitalizzazione delle attività che più o meno apertamente presentavano ispirazioni evangeliche.

Il 18 agosto 1885 il nuovo vescovo indisse la Visita Pastorale della diocesi (una seconda fu iniziata il 25 maggio 1889).

Altro campo che ha registrato il suo attivo intervento riformistico fu quello della musica sacra, perché tale musica, a Mantova come nel Veneto, era di stile teatrale e melodrammatico. Il 15 ottobre 1887 licenziò tutti i cantori del duomo ed istituì la scuola dei cantori seminaristi. Verso la fine del mandato episcopale a Mantova incontrò il giovanissimo Lorenzo Perosi (1872-1956), che gli parlò della musica della celebre abbazia di Solesmes, centro benedettino francese di rinnovamento liturgico e di sviluppo del canto gregoriano.

Come vescovo, raccomandò quest’ultimo, tentando di renderlo popolare affinché fosse cantato durante le celebrazioni liturgiche.

La spinta alla riforma della diocesi comportò anche la convocazione di un sinodo diocesano, che in diocesi di Mantova non si teneva da circa due secoli (il primo dopo 208 anni): indetto il 16 febbraio 1887, fu celebrato dal 10 al 12 settembre 1888, e così la diocesi mantovana si diede quella Magna Charta che aggiornava la sua vita religiosa e toglieva quanto si era venuto disordinatamente accumulando dal ’700 al 1887 senza che nessun presule facesse le scelte pastorali necessarie.

Diede spazio all’Azione Cattolica ed ebbe una parte notevole nella costituzione dell’Unione Cattolica Italiana di Studi Sociali, sorta a Padova il 29 dicembre 1889 per opera di mons. Giuseppe Callegari, del trevigiano Giuseppe Toniolo (1845-1918) e del bergamasco Stanislao Medolago Albani (1851-1921).

Invitò i suoi parroci a farsi indefessi promotori della comunione frequente e quotidiana, con particolare riguardo all’ammissione alla mensa eucaristica dei fanciulli.

Ebbe particolare sensibilità per i problemi dell’emigrazione, che negli anni Ottanta del secolo scorso dissanguava le campagne italiane: cercò di frenare l’ondata migratoria verso i paesi transoceanici e, dove non riusciva, faceva in modo che le parrocchie fossero vicine ai loro parrocchiani lontani.

Il 12 giugno 1893 fu creato cardinale di Mantova e due giorni dopo, il 15 giugno 1893, venne nominato patriarca di Venezia, dove fece il suo ingresso trionfale il 24 novembre 1894: il ritardo è dovuto all’opposizione del capo del governo, Francesco Crispi (1818-1901), per la concessione del Regio Exequatur.

Solo il 5 settembre 1894 il re firmò il decreto ed il 24 novembre 1894 il Sarto poté insediarsi sulla cattedra di S. Lorenzo Giustiniani. I veneziani lo accolsero con grandi feste: forse mancavano solo gli amministratori della città lagunare, di tendenza liberal-democratica, che tennero chiuso per l’occasione il municipio. Infatti, la Giunta comunale di Riccardo Selvatico (1849-1901) tenne le distanze dal nuovo presule, ma fu surrogata dalla Giunta di Filippo Grimani (1850-1921), il «sindaco d’oro», già sindaco di Mirano (1886), che fu in carica per 25 anni, fino al 1920.

Dal punto di vista pastorale, il periodo veneziano si colloca a metà strada fra il magistero episcopale mantovano ed il magistero universale del periodo del papato: vennero ripresi, ampliati ed approfonditi tutti i temi già svolti a Mantova e che poi saranno portati in patrimonio a tutta la chiesa universale.

L’istruzione catechistica e la predicazione a Venezia erano male organizzate e con finalità non del tutto ben precisate; la sacra eloquenza era tribunizia e retorica, quasi profana. Perciò il nuovo patriarca, come primo atto del periodo veneziano, non poteva non intervenire in merito: in data 17 gennaio 1895, ordinava la scuola di catechesi e la formazione dei catechisti, non solo per l’attività nei patronati, ma anche per le scuole municipali. Come a Mantova, frequentemente effettuava qualche blitz per osservare se e come le sue direttive venivano applicate, specialmente in merito allo “spirito di pietà, ardore di carità, scienza e seria preparazione”.

Per il seminario ed il clero volle un’organizzazione disciplinare e scientifica adeguata ai tempi, rinnovò il collegio dei professori, riformò gli studi, fondò nel 1902 la facoltà di diritto canonico (la cui attività durò fino al 1932) per dare ai suoi preti una sufficiente conoscenza dei problemi giuridici.

Voleva inoltre che partecipassero ogni anno con lui ad un corso di esercizi spirituali, e che intervenissero a conferenze di esegesi biblica, di storia e di archeologia cristiana.

Il patriarca Sarto, per concessione della Santa Sede, istituì (19 ottobre 1902) un Istituto di Diritto Canonico presso il Seminario Patriarcale di Venezia, che aprì le sue porte nell’anno accademico 1902-1903.

Con la lettera pastorale del 1° maggio 1895 ribadì autorevolmente che il canto e la musica avevano la suprema finalità di essere “preghiera liturgica”.

Le caratteristiche principali dovevano essere informate a santità del canto, bontà dell’arte, universalità contro le “maniere teatrali”. Indicò nel canto gregoriano, nella polifonia alla Palestrina e nella preghiera cantata dal popolo le vie maestre della riforma della musica sacra.

Il 21 maggio indisse la visita pastorale (che durò fino al 1898) e prese ancora una volta posizione contro il Cristianesimo moderno (detto poi Modernismo).

Un fatto totalmente nuovo (e tutto veneziano come progetto) fu il XIX Congresso Eucaristico, il quinto nazionale italiano, che vide nel metropolita dei veneti il “principale promotore”. L’occasione fu fornita da una profanazione avvenuta nella chiesa degli Scalzi. Il 6 aprile 1895 una mano sacrilega asportò una pisside disperdendo le particole per le calli. “Per fare atto di riparazione a Gesù sacramentato, per il mondo che lo misconosce”, il patriarca indisse subito un Congresso Eucaristico che fu celebrato due anni dopo, tra l’8 e il 12 agosto 1897.

Si prodigò per aumentare nei fedeli l’amore per l’eucarestia, per far crescere nel popolo mediante la comunione frequente e quotidiana; esortò i parroci ad ammettere a tale sacramento i fanciulli, senza preoccuparsi troppo dell’età, purché fossero abbastanza coscienti del passo che stavano per fare.

Il 1° novembre 1897 indisse il XXIX sinodo della chiesa veneziana, che fu celebrato dall’8 al 10 agosto 1898, con lo scopo di renderla più aderente alle esigenze dei nuovi tempi, dato che la preesistente normativa risaliva al 1865, anno in cui fu promulgata dal card. Giuseppe Trevisanato, patriarca dal 1862 al 1877.

Tra i fatti degni di nota è da segnalare il suo intervento nei riguardi dell’esposizione del quadro «Il supremo convegno» di Giacomo Grosso (1860-1938), presentato alla Prima Biennale d’Arte (1895).

Il 25 settembre 1900 incoronò l’immagine taumaturgica della Beata Vergine di Monte Berico come delegato del Capitolo Vaticano. Erano presenti i vescovi di Vicenza, Padova, Belluno, Chioggia, Adria, Ceneda, Treviso, Concordia, Udine, Ferrara, Verona e Trento.

Il 4 agosto 1901 salì sul Monte Grappa per benedire il sacello e la statua della Madonna.

Il 25 aprile 1903 pose la prima pietra del nuovo campanile di S. Marco, crollato il 14 luglio 1902.

Il card. Sarto lasciò la città di Venezia la sera del 26 luglio 1903 per recarsi al conclave: partì con un biglietto di andata e ritorno, assicurando coloro che erano andati a salutarlo che sarebbe tornato: “O vivo o morto tornerò”.

 

 

 

segue parte 6

 


Fonte: Quirino Bortolato, in «Atti e memorie dell'Ateneo di Treviso, anno accademico 2013/14», relazione tenuta il 24/1/2014.

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