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Giuseppe Sarto era un seminarista modello

 

 

Giuseppe Sarto era un seminarista modelloAlla fine delle vacanze estive dei seminaristi, il Vescovo diocesano usa spedire ai parroci interessati una circolare riservata con cui si richiedono varie informazioni sul comportamento disciplinare e morale dei loro parrocchiani avviati al Sacerdozio, durante il periodo trascorso in famiglia.

Intendiamo occuparci di una di tali circolari, assai importante per il nostro santo Concittadino.

Nell’estate del 1851 Giuseppe Sarto, che a sedici anni aveva appena concluso con ottimi risultati il primo anno di ‘umanità’ presso il Seminario di Padova, stava trascorrendo serenamente le vacanze in paese. Portava già l’abito talare che la mamma gli aveva confezionato un anno prima, e nel mese di settembre avrebbe ricevuto la tonsura dalle mani del Vescovo di Treviso nella cattedrale di Asolo.

Nel frattempo, firmata dal Vescovo Monsignor Farina, giungeva al parroco don Tito Fusarini l’«Ordinanza Vescovile per la condotta del chierico Giuseppe Sarto», che sollecitava le seguenti informazioni: se il giovane si era dedicato ogni giorno alla preghiera e allo studio; se si era regolarmente confessato e comunicato ogni quindici giorni; se aveva assistito alla Messa domenicale, insegnandovi anche il catechismo; se avesse frequentato compagnie discutibili oppure osterie; se comunque avesse trasgredito le norme delle Costituzioni Sinodali.

La risposta che dà don Tito Fusarini ai quesiti del Vescovo è un documento mirabile, perché costituisce forse la prima testimonianza scritta che ci sia nota sulla ricca fioritura delle più elette virtù ecclesiastiche nell’animo giovanile del futuro santo.

Il documento dice:

“Venerando Presule, faccio fede con giuramento che per tutto il tempo delle vacanze autunnali testé trascorse, non ho cessato di osservare il comportamento del chierico Giuseppe Sarto, figlio di Giovanbattista di questa Parrocchia, promosso alla Tonsura, e alunno del Seminario di Padova. Prima che riprenda gli studi umanistici interrotti, esporrò qui sotto quello che Signoria Vostra ha il diritto di conoscere.

Non solo si è dedicato ogni giorno alla preghiera, alla lettura spirituale e allo studio, ma inoltre (e questo non era stato richiesto dal Vescovo) “alla sera fu sempre puntuale all’adorazione dell’Augustissimo Sacramento”.

Ogni quindici giorni ha confessato i suoi peccati ad un prudente sacerdote, e ha ricevuto la santissima Eucarestia. Quanto alla Messa, vi ha assistito non solo alla domenica, ma ogni giorno, sia feriale che festivo, come pure a tutte le altre funzioni religiose nella mia chiesa, servendo all’altare con abito talare e cotta; nei giorni festivi, inoltre, ha insegnato la Dottrina Cristiana in chiesa.

Ha sempre portato il vestito clericale e la tonsura, secondo le recenti prescrizioni. Per quanto riguarda le Costituzioni Sinodali, non solo vi è stato sempre fedelissimo, “ma anzi ha aborrito dall’intimo dell’animo la minima trasgressione”.

Non ha frequentato le osterie, né i mondani spettacoli, ed è sempre stato alieno dalle brigate laicali e muliebri, preferendo al esse gli ambienti ecclesiastici”.

Questo è l’elogio, bello davvero, che don Tito Fusarini fece del chierico Sarto, e con dovizia di riconoscimenti che andavano oltre le richieste del Vescovo.

Effettivamente quel degno parroco conosceva a fondo l’animo del suo pupillo, che aveva cominciato a frequentare l’ambiente della canonica fin da piccolo, e al quale aveva affidato l’incarico di trascrizione di elenchi o di compilazione di semplici atti di archivio forse fin da quando frequentava il ginnasio di Castelfranco.

La prima scrittura d’archivio di suo pugno, però, la troviamo in data 31 ottobre 1849, quando aveva poco più di quattordici anni, ed è una distinta di spettanze a favore del sagrestano Giacomo Bistacco. Appare chiaro che don Fusarini teneva quanto più poteva presso di sé quel giovane promettente, per studiarne con trepidante attesa la nascente vocazione e per alimentarla con l’esempio delle sue proprie virtù. E chissà quante volte si saranno trovati, il pio sacerdote e il giovane seminarista, davanti all’altare nella “puntuale adorazione dell’Augustissimo Sacramento”.

Giuseppe Sarto comprendeva tutto questo e ricambiava con ogni sevizio possibile i molti benefici, materiali e spirituali, che riceveva dal suo Maestro; ma teneva sempre segreta nel cuore quell’ammirazione crescente in cui c’era anche tanto affetto filiale. Col passare degli anni però, e quando fu sacerdote lui stesso, ebbe modo di misurare con più completa coscienza il valore decisivo dei buoni esempi che aveva ricevuto, e manifestò in varie circostanze la venerazione che nutriva verso il suo vecchio parroco.

Una lettera del 1877, finora sconosciuta, ci sa conferma esemplare di tutto questo. Il 16 dicembre di quell’anno, don Tito Fusarini moriva a Venezia nella congregazione dei Padri Cavanis, dove era entrato molti anni prima, dopo aver rinunciato alla Parrocchia. Don Giuseppe Sarto era allora Cancelliere Vescovile a Treviso, e così scriveva due giorni dopo il trapasso, all’Arciprete di Riese don Mosè Ceron:

“Carissimo Arciprete, con un debito di riconoscenza, che non può in verun modo esser pagato verso il povero vostro antecessore don Tito Fusarini, vi prego della carità di raccomandarne l’anima alle preghiere dei suoi vecchi parrocchiani, dispensando i pochi santini di memoria che riceverete dalla posta.

Treviso 18-12-1877 – aff.mo amico don Giuseppe Sarto”

Poche parole disadorne, «pochi santini» fatti stampare con non lieve sacrificio economico; nel retro dei santini, una bella frase uscita dal cuore ad eternare nell’anima di tutti i parrocchiani la cara immagine dell’insigne benefattore, oltre la morte. La santità vera, ha sempre baciato in fronte la gentilezza e la riconoscenza.

 

 

 


Fonte: Sandro Favero in Ignis Ardens di Gennaio-Febbraio 1966


 

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