Iscrizione al bollettino settimanale

S. Pio X e la Riparazione Eucaristica

 

 

Pio X tanto era schietto che quanto diceva gli veniva sempre su dal cuore. Non era il tipo delle mezze parole, meno ancora del doppio senso. Dai primi giorni in cui godeva esercitare il suo ministero di cappellano a Tombolo sino agli ultimi giorni di pontificato, la sua parola fu sempre accesa, sia quella solenne declamata dal pulpito, come quella confidenziale detta ad un orecchio.


C’è, però’ un suo invito, sovraccarico di accoramento: quello che gli proruppe dal cuore nella chiusura del Congresso Eucaristico Internazionale tenuto a Roma nel giugno 1905: “È specialmente a coi che mi rivolgo, miei cari figli sacerdoti, perché Gesù … il più grande dei benefici che abbia ricevuto l’umanità desolata, non sia così abbandonato con trascuratezza e ingratitudine”. Con parole più esplicite, persuase: “Noi dobbiamo cercare, per quanto è possibile alla nostra povertà e miseria, di mostrare a Gesù la nostra gratitudine”. (Fernessole, trad. ined. Cit., fol. 8). Dinanzi alla dolorosa constatazione di uomini che restano incuranti o freddi di fronte al Sacramento dell’amore, Pio X svelò la sua anima riparatrice e si impegnò alla riparazione eucaristica.

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Il cuore di chi crede e, soprattutto di chi ama, non può restare insensibile dinanzi a voci e gesti che sacrilegamente bestemmiano o profanano l’Eucarestia. L’anima, eucaristicamente sensibile, prova brividi di paura nell’udire bestemmie contro i sacrosanti nomi significanti la realtà eucaristica.


Se Gesù, come un giorno agli apostoli, ci chiedesse: - Che dicono gli uomini che io sia? – dovremmo amaramente elencare aggettivi e sostantivi che uomini perversi attribuiscono all’Ostia Santa, al Sacramento per eccellenza, al Dio nascosto.


Non è raro il caso di leggere sui giornali, o di sentir riferire atti e gesti sacrileghi, attentatori alla santità del Pane Eucaristico o alla sacralità di calici, pissidi, ostensori, tabernacoli. Sono mani di giudei, che osano alzarsi contro il Cristo, per ripetere sacrilegamente la sua dottrina, la sua flagellazione, la sua incoronazione di spine, la sua tremenda affissione alla Croce. Non sono, poi, infrequenti (lo sanno tante grate di confessionali!) le comunioni sacrileghe, che riproducono l’atteggiamento di Giuda nell’Ultima Cena e rinnovano il suo bacio nell’orto degli ulivi, indice di tradimento anziché di amicizia.


interno-osteria-con-giocatori-carte.jpgPio X sentì sempre orrore della bestemmia, perché è offesa al Dio dell’amore. Era arciprete di Salzano e passava quel giorno dinanzi all’osteria Bottacin, quando udì un suo parrocchiano pronunciar bestemmie. Don Giuseppe entrò nell’osteria, facendo l’indifferente. Da più di qualcuno di quei buontemponi gli fu offerto da bere. Gli s’accostò con il bicchiere anche il bestemmiatore. “Da ti no bevo”, scattò l’arciprete in dialetto per rendere il richiamo più efficace. “Bevendo sol to goto me sporcaria la boca”. (Eugenio Bacchion, Pio X, Giuseppe Sarto, Arciprete di Salzano, Padova, Tip. del Seminario, 1925, pag. 35-36).


Visto che con le buone non era riuscito a chiudere la bocca ad un bestemmiatore, il 4 febbraio 1866 scriveva una lettera al Municipio di Salzano per reclamare il suo pronto intervento: “Proclive più che mai al perdono, devo far forza al mio cuore nell’atto di reclamare per un preciso e severo castigo contro di chi, avendo sempre ottenuta impunità nel delitto, anziché approfittarne a sua correzione, si rese sempre più tracotante in commetterlo … E tale è in questa parrocchia il signor …, nel quale si tratta di punire non un solo delitto, ma delitti molteplici, non una volta, ma le mille volte commessi. È massimo dei delitti la bestemmia contro la divinità, e qualunque sia il codice che ne regge, da tutti i codici essa è colpita; e non si dovrà reclamare perché venga punito un indegno che si fa lecito in tutte le ore, alla presenza di tutti e sano di mente e ubriaco, d’insultare alla divinità e alle cose più sante colle bestemmie più laide, più sporche?” (id., pag. 37).


Quand’era ancora cappellano a Tombolo, era dovuto intervenire più volte a tappare sulle bocche sporche abituali bestemmie. Usava bontà, ma non gli mancava energia.

Aveva proposto l’istituzione di una scuola serale per gli adulti che si vergognavano di non saper leggere né scrivere. L’entusiasmo degli interessati fu grande, e fu spontanea la richiesta: “Ma che ricompensa dovremo darle, Don Bepi?”. E Don Bepi fu pronto: “Una sola: che smettiate di bestemmiare”. (Vittorio Facchinetti, l’Anima del beato Pio X, Ed. Paoline, Roma, 1951, 3 ed., pag. 129). Era questo l’invito che mai si stancava di ripetere: nelle prediche, nelle visite alle case, nell’incontro con bestemmiatori noti, nel segreto del confessionale. E gli argomenti per convincere erano a bizzeffe. E, specialmente sulle bocche di giovani bestemmiatori, calò non di rado sonori manrovesci.

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I suoi nove anni di episcopato a Mantova furono amareggiati soprattutto da un atto sacrilego. Un povero prete, Don Giovanni Grisanti, arciprete di Rovere, un giorno buttò via la talare e aderì al protestantesimo, che era una grossa piaga che infettava la diocesi mantovana. Lo scandalo nella popolazione fu grave. Il vescovo Sarto, con il cuore a brandelli, indisse in quella parrocchia una missione che, seppure in pieno inverno, volle egli stesso predicare.


Per propiziare il Signore, decise che venisse esposto solennemente il SS Sacramento in forma di quarant’ore. Venne esposto il Santissimo. Una donna, poco dopo, fu vista entrare in canonica ad annunziare, con voce stentata, presa dall’affanno, che dall’altare era sparito l’ostensorio: era stato rubato, con l’Ostia Santa in esso custodita. (Icilio Felici, il Papa dell’Eucarestia, Ed. Marietti, Torino, 1954, pag. 68-69). Al cuore sanguinante del povero vescovo, innamorato come era dell’Eucarestia, s’aggiunse nuovo e più tremendo dolore. Soffì, pregò, riparò, fece pregare e riparare. Mons. Vittorio Facchinetti commenta: “Fu un miracolo se il povero vescovo non morì di crepacuore”. (Op. cit., pag. 145).


Un secondo fatto sacrilego fece soffrire Pio X, a Venezia. Nell’aprile del 1895, mani sacrileghe profanarono la Chiesa degli Scalzi, asportavano dal tabernacolo la piside e disponevano per la pubblica via le Ostie consacrate. Il cardinale patriarca riversò in una lettera alla diocesi tutta la sua profonda amarezza per l’oltraggio al Dio con noi: espresse la speranza che il tremendo oltraggio non fosse stato compiuto da uno dei suoi figli; definì il fatto come sventura di tutta la città; invitò tutti ad una funzione espiatoria.

In processione da Patriarca di VeneziaIl Patriarca Giuseppe Sarto in processione a Venezia.
Venezia corrispose al doloroso appello alla riparazione. Nella solenne processione riparatrice, il patriarca volle reggere nelle sue mani l’ostensorio per chiedere a Gesù perdono e misericordia. “Chi l’avrebbe detto”, gli proruppe dal cuore, prima d’impartire la benedizione eucaristica ai presenti, “chi l’avrebbe mai detto, nel giorno del mio ingresso tra voi, quando visitai questo tempio per primo, ed offersi in olocausto a Gesù Cristo tutta la mia vita per la vostra salvezza, che qui sarebbe stata l’origine dell’immenso dolore che mi rattrista?”. Impegnò tutti i suoi figli a efficace vita riparatrice: “Bisogna tornare a Gesù con viva fede, perché la ragione dell’aver Egli permesso questo orrendo misfatto, potrebbe essere forse l’abbandono in cui Lo lasciano i cristiani, e del quale Egli in modo così terribile ci rimprovera”. (V. Facchinetti, op. cit., pag. 235-236). Nel sacrilegio di uno, il card. Sarto condannava la corresponsabilità di tutti.

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Se le bestemmie contro l’Eucarestia e le sacrileghe profanazioni segnavano profondo solco di sofferenza nell’anima di S. Pio X, gli era continua causa di sofferenze il riscontrare nel popolo cristiano apatia e freddezza verso il Dio del Tabernacolo. Balaustrate vuote, Chiese disertate, domeniche e giorni di festa non santificati, comunioni di Pasqua tralasciate, tabernacoli lasciati in solitudine: gli erano motivi di pastorale sofferenza.


Sono rivelatrici della sua anima eucaristica e della sua sofferenza riparatrice le righe che, quand’era vescovo di Mantova, scrisse all’arciprete di Riese mons. Giuseppe Bellincanta. “Non posso dirvi quanto mi torni gradita la preziosa vostra lettera, che mi dà relazione della solenne dimostrazione di fede e pietà cristiana dei nostri buoni Riesotti. Per fare una festa di questo genere e per avere in un giorno mille comunioni io credo che qui bisognerebbe mettere in moto tutta la diocesi e poi lo si direbbe un miracolo. Sia ringraziato Iddio che anche in mezzo alle amarezze vi dona di questi conforti, che non si possono apprezzare giustamente se non da chi non è più solito ammirare di tali spettacoli”.

La lettera inedita, (Ne conserva l’autografo p. Fernando da Riese Pio X), svela palese nostalgia, quasi invidia, delle balaustrate della parrocchiale di Riese assiepata da fedeli riceventi la comunione, in opposizione alle balaustrate deserte delle Chiese della sua diocesi. Nella difficile diocesi, Mons. Sarto restava privo di quei «conforti» eucaristici.


Nella sofferenza per feste non santificate, fatto Papa, rivedrà l’elenco dei giorni festivi e lo ridurrà per ridurne le troppe profanazioni.


Quand’era cappellano a Tombolo, per togliere ai tombolani, specialmente agli uomini, la brutta abitudine d’uscire dalla Chiesa appena impartita la benedizione eucaristica, senza aspettare che l’Ostia venisse riposta nel tabernacolo, escogitò questa astuzia. Era assai venerata in parrocchia una antica immagine della Madonna. I tombolani le tributavano un culto che aveva quasi del superstizioso: l’immagine non poteva venir scoperta se non erano accese almeno due candele e, durante tale esposizione, tutti dovevano stare in ginocchio. Una domenica, Don Bepi, mentre l’arciprete sta impartendo la benedizione eucaristica, fa accendere due candele davanti all’immagine della Madonna e, prima che l’ostensorio venga deposto sull’altare, fa scoprire l’immagine della Madonna. Gli uomini, già pronti per uscire di chiesa, appena avvertiti che l’immagine della Vergine era stata scoperta, si rimettono in ginocchio. Il cappellano improvvisa un opportuno fervorino, sottolineando la strana maniera di comportarsi e insistendo affinché venga tolta quella irriverenza al SS. Sacramento. (V. Facchinetti, op. cit., pag. 129-130).


Per rinfocolare sempre di più amore e riverenza all’Eucarestia, quand’era arciprete di Salzano dette incremento alla funzione delle quarant’ore e rimise in piedi la confraternita del SS. Sacramento. Ne compilò lui stesso lo statuto, che fece stampare nel 1875. Era solito dire ai parrocchiani che il modo migliore di festeggiare una solennità è quello di accostarsi alla confessione e alla Comunione. (E. Bacchion, op. cit., pag. 27-28).


Vescovo di Mantova, scrisse il 18 agosto 1885 ai suoi parroci: “La più bella accoglienza che mi si possa fare sarà
quella di trovare al mio arrivo i fedeli raccolti in Chiesa a pregare”
. 11 – (Dal Gal, op. cit., pag. 71).


Sulla cattedra pontificia appoggiò, rilanciò, encomiò le associazioni e le confraternite del SS: Sacramento, arricchendole d’indulgenze e privilegi; favorì l’incremento delle leghe e delle crociate eucaristiche dei paggetti, dei circoli di S. Tarcisio, della pia pratica dell’Ora Santa e delle giornate eucaristiche. Con lettera apostolica dell’11 novembre 1910, diceva all’arciconfraternita per l’adorazione notturna: “A noi, che desideriamo ricapitolare tutto in Cristo, niente sta più a cuore che la pietà del popolo cristiano verso il mistero del Divino Amore … sia risvegliata e accresciuta”. 12 – (Acta Ap. Sedis, vol. III, pag. 5).


Insomma voleva che una schiera di anime pronte, in ogni parte del mondo, di giorno e di notte, fosse accanto al Cristo Eucaristico, per dimostrare la gratitudine degli uomini all’immenso dono di Dio, per riparare indifferenze e oltraggi di uomini increduli o, peggio ancora, cattivi. Era invito alla riparazione eucaristica, cioè all’associazione degli uomini all’espiazione e soddisfazione offerta da Gesù Redentore, per compensare la gloria di Dio oltraggiato dal peccato.

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Pomeriggio del martedì 23 maggio 1905. In Vaticano, folla di pellegrini attende l’arrivo del papa Pio X. In prima fila stanno due figlie di Maria, giunte da Rovigo: Maria Inglese e Vittoria Zagato. Ecco finalmente apparire la bianca figura del Pontefice che s’avvicina alla signorina Inglese (divenuta poi Suor Maria Dolores), porgendole a baciare la mano. La rodigina approfitta del momento e, estratta una lettera, la consegna al Papa: “Santità, degnatevi d’accettare questa lettera”.


Quanti accompagnano il Papa restano meravigliati del gesto inconsueto non ammesso dal cerimoniale, Pio X, invece, stende la mano a ricevere la lettera e commenta con il suo sorriso di sempre: “Si, cara! Si, cara!”. 13 – (Memorie inedite della Serva di Dio Maria Dolores). Quella lettera chiedeva indulgenza per tutti i fedeli che si sarebbero iscritti all’Opera della Riparazione Mariana, consistente specialmente nella comunione eucaristica, ricevuta con spirito e finalità di riparazione.si


Questo di Pio X è un «si» rivolto e ripetuto a tutti. C’è bisogno di riparazione, perché – come scrisse un poeta: “Ogni anima è un Calvario, ed ogni peccato una strada” – i peccati diretti contro il divino Prigioniero degli altari, trovino riparazione in anime eucaristiche che sostano a lungo dinanzi ai Tabernacoli come sentinelle d’amore, e che non si stancano di preghiera e di immolazione nel bruciante anelito: “Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell’altare”.

 

 

 

Fonte: Padre Fernando da Riese Pio X, Ignis Ardens marzo-aprile 1965

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