In occasione del centenario della morte di San Pio X, avvenuta nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1914, giovedì 12 giugno 2014, si è tenuta a Roma una giornata di studi dal titolo San Pio X - Un papa riformatore di fronte alle sfide del nuovo secolo. L’evento ha avuto luogo presso l’aula che porta il nome di papa Sarto, l’Aula “San Pio X” in via della Conciliazione.
L’evento, promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche, aveva l'intento, secondo le parole del professor Alejandro Mario Dieguez, dell’Archivio Segreto Vaticano, di «recuperare il Pio X della storia e non quello del mito, il Pio X del governo e delle riforme e non quello della pietà popolare, ricomponendo così la complessa e affascinante personalità di questo pontefice».
E' emersa la effettiva volontà di sottolineare il respiro delle iniziative di Pio X che, nella loro formidabile varietà, appaiono legate da un’unica linea di riforma scelta dallo stesso pontefice. Anche alla luce di nuove fonti archivistiche rese disponibili dal Vaticano e di studi monumentali, come quello eminente di Carlo Fantappiè, è stato infatti solo recentemente smontato il profilo di “papa degli anatemi”, derivante dalla condanna del modernismo, ponendo anzi il pontificato di papa Sarto come un momento di svolta nella storia della Chiesa nel Novecento, visione che sottrae il primato al Concilio Vaticano II.
Per valutare meglio l’intero pontificato di Pio X, che si presenta ora come un autentico “papa riformatore”, è necessario comprendere in primo luogo la reale portata del principale traguardo del processo di modernizzazione giuridico-istituzionale intrapreso da papa Sarto, l’avvio della riforma del diritto canonico nel 1904, con la bolla Arduum sane munus.
Il nuovo Codice di diritto canonico rappresentò l’asse di equilibrio attorno al quale il cattolicesimo ritrovò la propria identità, rispondendo dialetticamente allo Stato tardo ottocentesco che intendeva confinare la Chiesa in un ruolo secondario, integrativo dello Stato stesso. Questa sfida giuridico-politica lanciata dallo Stato liberale si era manifestata dopo la fine del potere temporale, che rappresentava pur sempre una garanzia di autonomia, ruolo e prestigio sia sul piano dell’immediatezza politica internazionale sia su quello della fondazione giuridica. La risposta della Chiesa utilizza quel medesimo strumento giuridico che fino ad allora era servito per negare i diritti e i privilegi ecclesiastici: la forma “codice” in senso moderno.
Allo stesso tempo la codificazione canonica portò a compimento il modello burocratico e centralizzato, “romanizzato”, proposto dal concilio di Trento e permise l’apertura ad una vasta riorganizzazione dell’intera compagine ecclesiale.
Si pensi alla riforma della Curia Romana (cost. ap. Sapienti Consilio), alla razionalizzazione delle funzioni degli organi istituzionali della Chiesa (Santa Sede, Corte papale, Vicariato, diocesi suburbicarie), alla riorganizzazione dell’istruzione del clero, con la reformatio dei curricula dei seminaristi, l’apertura alla filosofia, la creazione dei seminari regionali; alla riforma del conclave e alla soppressione del “veto” delle potenze cattoliche.
Ancora, limitatamente all’ambito Italiano, è da evidenziare il riordino e la riduzione delle diocesi, insieme al ripensamento del ruolo dei vescovi in senso più pastorale, volontà, quella di ribadire la missione pastorale della Chiesa, concretizzata con l’invio dei famosi visitatori apostolici. Tutti questi interventi tendono, per un verso, a unificare, concentrare le varie dimensioni della Chiesa in modo non dissimile da quanto attuato in sede di codificazione, per un altro, a realizzare quella che Max Weber definisce la “razionalizzazione burocratica della struttura di potere della Chiesa”.
Ebbene questa Chiesa che ancora nella seconda metà del Settecento era di fatto una federazione di Chiese nazionali, e che si presenta ora come una compatta organizzazione internazionale, disciplinarmente e teologicamente sottoposta al papa, può affrontare anche questioni che riguardano la sua vita più intima. Si ricordi a questo proposito il progetto del catechismo universale quale testo unico per la dottrina cattolica, la comunione ai bambini, la riforma dei libri liturgici per uniformare riti e preghiere in tutto l’orbe cattolico, la legislazione unitaria in materia di canto e musica sacra (motu proprio Inter Sollicitudines), la fondazione dell’Azione Cattolica per promuovere e controllare l’apostolato dei laici.
Il decennio di riforme caratterizzato dalle iniziative appena illustrate portò quindi ad un sostanziale rafforzamento dell’operatività e della disciplina della Chiesa, a una modernizzazione giuridica e istituzionale in taglio centralistico senza la quale sarebbe stato impensabile, come ha sottolineato Magister, un ruolo planetario del papato come quello impersonato da Giovanni Paolo II. Tale “ciclone riformatore”, così definito da Gianpaolo Romanato, ha avuto origine dal Codice di diritto canonico, poi promulgato nel 1917; senza di esso, che avviò il dibattito sul ruolo internazionale della Santa Sede e la ripropose di fronte allo Stato come interlocutore alla pari, non sarebbero stati possibili i concordati degli anni Venti e Trenta.
La valutazione del pontificato di Pio X appare quindi rovesciata in seguito a questo presupposto. Non un tentativo di “restaurazione ecclesiastica” legato solo alle dinamiche interne della Chiesa mosse il decennio di papa Sarto, ma piuttosto un’istanza riformatrice e modernizzatrice, istanza talmente energica e personale che il papa preferì gestirla attraverso la ben nota “segretariola” piuttosto che con i pur riformati organismi curiali.
Nella riflessione storiografica occorre quindi spostare il baricentro di questo pontificato dalla condanna e repressione del modernismo alla difesa della Chiesa attraverso la sua riforma e, di conseguenza, vedere nella Pascendi Dominici Gregis non tanto un atto estremamente rilevante, quanto una decisione cruciale in rapporto al complessivo progetto riformatore di Pio X. Il suo atteggiamento di rifiuto radicale del modernismo teologico anziché essere interpretato come rifiuto della modernità tout court o come la manifestazione della sua modesta apertura culturale, va ricondotto a un progetto politico-religioso che è frutto del confronto dialettico col mondo moderno. La linea scelta da coloro che sono stati esclusivamente definiti modernisti è stata, invece, quella della modernizzazione filosofico-teologica secondo il modello dell’imminentismo allora ritenuto incompatibile con la dogmatica teologica cristiana.
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Fonte: Andrea Dordoni in Non Praevalebunt