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La maggior parte delle persone ignora o ha dimenticato che cosa è la Quaresima. Eppure il Catechismo Maggiore di san Pio X era molto chiaro, definendola «un tempo di digiuno e di penitenza istituito dalla Chiesa per tradizione apostolica». Nel paragrafo successivo san Pio X ne spiegava le finalità:
«Per farci conoscere l’obbligo che abbiamo di far penitenza in tutto il tempo della nostra vita; per imitare in qualche maniera il rigoroso digiuno di quaranta giorni, che Gesù Cristo fece nel deserto; per prepararci col mezzo della penitenza a celebrare santamente la Pasqua» (n. 36).
Spesso però per i buoni cattolici che non dimenticano la Quaresima, questa si riduce ad alcune pratiche ascetiche: digiuno, mortificazioni, elemosina, certamente lodevoli e da sempre raccomandate dalla Chiesa, ma non sufficienti a trasmetterci lo spirito della Quaresima, che è innanzitutto quello di distaccarci più profondamente dal peccato e abbracciare con maggior generosità la volontà di Dio.
Benedetto XVI, nel suo Messaggio per la Quaresima del 2009, ricorda che nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda all’uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gn 2, 16-17). Questa ingiunzione data da Dio ad Adamo è il primo precetto di astinenza dal cibo che l’uomo riceve. Commentando l’ingiunzione divina, san Basilio scrive che «il ‘non devi mangiare’ è, dunque, la legge del digiuno e dell’astinenza» (Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore «di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, con il digiuno – osserva ancora Benedetto XVI – il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia» (Messaggio dell’11/12/2008).
Lo spirito di penitenza si manifesta, prima di ogni altra pratica, nello sforzo di uniformarsi alla volontà di Dio in ogni momento, anche doloroso e umiliante della nostra vita. Il 26 marzo 1950, in occasione della Quaresima del Grande Anno Santo, Pio XII, così si rivolgeva ai fedeli: «Saper sopportare la vita! È la prima penitenza di ogni cristiano, la prima condizione e il primo mezzo di santità e di santificazione. Con quella rassegnazione docile che è propria di chi crede in un Dio giusto e buono, ed in Gesù Cristo maestro e guida dei cuori, abbracciate con coraggio la spesso dura croce quotidiana. A portarla con Gesù il suo peso diventa lieve».
Lo sforzo di unire la nostra volontà con la volontà di Dio precede ogni pratica ascetica. Per questo Gesù mette in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l’atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni rituali imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, spiega il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale «vede nel segreto, e ti ricompenserà» (Mt 6, 18). Egli stesso ne dà l’esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4). «Il vero digiuno – conclude Benedetto XVI – è dunque finalizzato a mangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre» (cfr. Gv 4, 34).
Chi ama la volontà del Padre detesta il peccato, che è la violazione della legge divina. E allora, in questo tempo di Quaresima del Giubileo del 2025, come non fare proprie le parole che Pio XII rivolgeva ai fedeli di tutto il mondo per prepararli alla Quaresima nel Giubileo del 1950:
«Misurate, se vi regge l’occhio e lo spirito, con l’umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo. Opera propria dell’uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l’opera di Dio. Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro sé stessi, nell’anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società.
"Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d’iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni. Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l’uomo è stato creato, con gl’ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.
Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l’ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinché si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità.
"Con tutto l’ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo».
Fonte: Roberto de Mattei in Corrispondenza Romana
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