Il dipinto a olio su tavola Lotta tra Carnevale e Quaresima (118×164,5 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio (1525/1530 circa-1569), datato 1559 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, rappresenta molto bene il Carnevale e la Quaresima che ci apprestiamo a vivere in questo 2018.
La scena è formata da una brulicante veduta della piazza di Anversa, in Belgio, dove si sta svolgendo un combattimento fra il Carnevale (parte sinistra) e la Quaresima (parte destra). Il Carnevale è un pingue uomo a cavallo di un barile, il quale indossa maglia azzurra (colore che simboleggia l’inganno) e calzamaglia rossa (simboleggia il peccato), intanto brandisce uno spiedo con maiale, pollo, salsicce: si direbbe un macellaio (ha sulla testa un pasticcio di carne e alla cintura porta legati dei coltelli).
La botte – sulla cui parte anteriore è fissata una coscia di maiale – è posata su una slitta azzurra, uguale alla barca dipinta nel quadrato bianco in alto, che fa da insegna alla godereccia osteria «Al naviglio blu», che esisteva realmente ad Anversa. L’autore ha dipinto, con grande sagacità e attenzione dei dettagli come era uso fare, gente che gozzoviglia e balla: da notare il soggetto che porta sulla testa addirittura un tavolo imbandito, rappresentante il vizio della gola come fissazione. Fuori dalla locanda si svolge la farsa della Sposa sudicia (matrimonio zingaresco). Poi gente che suona, gioca, cucina… baldoria, che negli eccessi del carnevale, dà sfogo al lato folle, eccessivo e trasgressivo.
Di fronte a Carnevale troviamo Quaresima, allampanata, diafana, smunta, perché, se il Carnevale è per definizione “grasso”, la Quaresima è lunga e magra. Porta un’arnia sulla testa (il miele era il tipico cibo quaresimale), la croce di cenere sulla fronte e lotta contro Carnevale impugnando una lunga pala da fornaio con sopra due aringhe (altra pietanza quaresimale come i dolci secchi sparsi qua e là). A tirare il carretto un frate e una monaca, mentre Carnevale è spinto da due uomini in maschera.
Quaresima indossa un saio e calza dei sandali. L’arnia che tiene sul capo potrebbe simboleggiare la Chiesa cattolica, tale particolare indurrebbe a sostenere l’interpretazione secondo la quale il duello inscenato rappresenti quello fra la Chiesa di Roma e Lutero, morto tredici anni prima del dipinto di Bruegel il Vecchio. L’eresiarca, dai suoi conterranei chiamato porcus Saxoniae, aveva abolito la Quaresima, ma non le festività del Carnevale. All’interno della chiesa, statue e immagini sono coperte (secondo la tradizione quaresimale), dentro e fuori religiosi e laici oranti, penitenti, in processione, caritatevoli. Poveri, storpi e mutilati spuntano qua e là in tutto il dipinto, ma, se si trovano in mezzo ai bagordi, essi non vengono presi in considerazione.
La meditazione sull’umanità di Bruegel è di carattere pessimista, quasi riconducibile ad una visione leopardiana, ma in lui, a differenza del poeta recanatese, è presente la vena ironica e satirica. La cronaca allegorica che spesso nelle sue opere porta in scena è costituita da una precisione lenticolare, priva di qualsiasi idealizzazione. Spesso ritrae gli istinti più bassi dell’uomo e in questo senso occorre citare un altro capolavoro, I sette peccati capitali, che nella nostra contemporaneità vengono elargiti a piene mani dalle autorità civili e religiose a tutti quanti, anche ai bambini; ma non possiamo dimenticare, per la loro attualità, neppure le opere La Grande Torre di Babele e La Piccola Torre di Babele.
L’uomo di Bruegel è una creatura goffa e viziosa, calata in un universo di paure, depravazione, deformazioni fisiche e morali, che sono riprodotte con occhio lucido, privo di compiacenze. Là dove è presente l’uomo c’è il malessere, il disordine, la confusione, il peccato. Là dove c’è il paesaggio, invece, impera la natura con la sua bellezza, che contrasta plasticamente con la bassezza degli individui. Unica figura che si salva dalle condanne dell’esistenza terrena e che spesso viene proposta nelle sue opere è quella del pastore: figura immobile, che interpreta l’ammonimento e la rassegnazione di fronte alle tempeste del mondo.
La cristianità odierna, compresa la Chiesa di Roma, concepisce la Quaresima proprio come Lutero: inutili sofferenze e sacrifici, permeati di passate credenze e di superstizione. È sufficiente la fede, le opere non contano: tutti hanno già acquisito la salvezza eterna attraverso il sacrificio del Salvatore, pertanto non sono necessari penitenze e sacrifici propri. Bruegel dipinge, in maniera grottesca e caricaturale, realistica e simbolica, debolezze e fragilità umane, quelle che la falsa misericordia (buonismo), priva dei principi evangelici e degli insegnamenti della Chiesa di Cristo, non considera più peccati in quanto tali: li ha tramutati in limiti della natura umana da permettere e da accogliere, così da evolverli in “valori”.
Gesù Cristo, vivente Capo della Chiesa (Mt 4,1-11, Mc 1,12-13, Lc 4,1-13), digiunò per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto e in questo periodo Satana lo tentò tre volte. Le tentazioni miravano a mettere in secondo piano il primato di Dio per sostituirlo con i piaceri carnali dell’uomo (prima tentazione vinta con la virtù della castità), il successo e il potere mondani (seconda tentazione vinta con la virtù della povertà), l’autonomia dal volere divino (terza tentazione vinta con la virtù dell’obbedienza).
Le evidenti tesi antilogiche, confusionali e anticristi che circolano nella Chiesa dimostrano la rinuncia sia della Fede, sia delle anime, proprie e altrui: il duello fra il Carnevale e la vera Quaresima prosegue, ma sotto l’assistenza di Maria Ausiliatrice, per la quale san Giovanni Bosco aveva composto una preghiera, dove si legge: «O Maria, Vergine potente, Tu grande illustre presidio della Chiesa […] Tu terribile come esercito schierato a battaglia; Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo».
Fonte: Cristina Siccardi in Corrispondenza Romana
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