Dipinta da padre Marko Ivan Rupnik l'icona ufficiale del grande evento voluto da papa Francesco. Spiega la relazione nel matrimonio attraverso l'espressione di san Paolo: "Questo mistero è grande"
Dopo la preghiera e il logo, arriva il terzo strumento pastorale in vista dell’Incontro mondiale delle famiglie (22-26 giugno 2022). Questa volta si tratta dell’immagine ufficiale, un’icona dipinta da padre Marko Ivan Rupnik, artista, teologo e direttore del Centro Aletti. Si intitola “Questo mistero è grande”, e come per tutte le icone, non si fa solo ammirare per la sua bellezza, ma sollecita preghiera e meditazione. Tanto più che il soggetto scelto è di quelli che più interroga sul senso del matrimonio e sulla sua duplice dimensione, orizzontale – espressione più alta e più profonda dell’amore umano – e verticale, cioè richiamo alla relazione trinitaria.
Come sfondo dell’immagine Rupnik ha scelto l’episodio delle nozze di Cana di Galilea. Sulla sinistra gli sposi appaiono coperti da un velo. Il servo che versa il vino ha il volto con i tratti di san Paolo, secondo l’antica iconografia cristiana. È lui a scostare con la mano il velo e riferendosi al matrimonio esclama: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (Ef 5, 32). L’immagine rivela così come l’amore sacramentale tra uomo e donna sia un riflesso dell’amore e dell’unità indissolubile tra Cristo e la Chiesa: Gesù versa il Suo sangue per lei. Spiega padre Rupnik nella meditazione che accompagna l’icona: «Nella trasformazione dell’acqua in vino, si aprono gli orizzonti del sacramento, cioè del passaggio dal vino al sangue di Cristo. Paolo sta infatti versando lo stesso sangue che la Sposa raccoglie nel calice».
«Spero – sottolinea ancora l’artista e teologo – che attraverso questa piccola immagine possiamo comprendere che per noi cristiani la famiglia è l’espressione del Sacramento» del matrimonio e «questo cambia totalmente il suo significato, perché un sacramento implica sempre la trasformazione». Nel matrimonio cristiano, infatti, l’amore degli sposi viene trasformato, perché reso partecipe dell’amore che Cristo ha per la Chiesa. In tal senso, il matrimonio ha una dimensione ecclesiale ed è inseparabile dalla Chiesa.
Qualcuno potrebbe dire: ma che c’entra san Paolo con le nozze di Cana, se Paolo non era presente a Cana di Galilea durante le nozze? «C’entra, c’entra», risponde padre Rupnik. E spiega: «È molto forte il fatto che l’uomo e la donna nel sacramento del Matrimonio sono innestati nell’unità nel figlio di Dio con l’umanità, con la Chiesa. Mai più Cristo è senza il corpo, ma si tratta del corpo di gloria, del corpo risorto. Il Matrimonio è dunque partecipe di questa indissolubile e incrollabile unità tra Dio e l’uomo».
Secondo, san Giovanni Crisostomo – osserva ancora il teologo - il sacramento del Matrimonio è una testimonianza anche per i consacrati che seguono il cammino della verginità, perché «attesta loro ciò che potrebbero anche non cogliere così immediatamente, e cioè che il Matrimonio realizza ed è l’espressione nella vita e nella storia di quell’unità di Cristo con la sua sposa, di Cristo con la Chiesa. Anche i consacrati, pertanto, attraverso gli sposati, comprendono che anche loro, grazie alla loro vocazione battesimale, partecipano di questa unità di Cristo, figlio di Dio, e l’umanità».
Da qui la sottolineatura di Rupnik: «Nella famiglia il legame di sangue non può essere in competizione con la nostra partecipazione al sangue di Cristo, anche se è facile che vinca il sangue secondo la natura e non il sangue dell’Eucarestia. Ma, come dice un altro grande padre, Nicola Cabasilas: “Noi siamo veramente consanguinei di Cristo”. I genitori ci hanno dato il sangue ma il nostro sangue non è quello dei genitori. Appena ce lo hanno dato, il nostro sangue non è più il loro. Mentre noi ci nutriamo della vita, cioè del sangue di Cristo che diventa il nostro».
“La famiglia per i cristiani – conclude padre Rubnik - è pertanto un’espressione del sacramento e della ecclesialità e fa vedere in questo mondo come vive l’uomo quando è unito a Dio. Diventa un’espressione della divina umanità di Cristo”.
Fonte: Luciano Moia in Avvenire.it
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